Maggio ’98: un giovane uomo cresciuto in uno dei quartieri satelliti della periferia barese parte grazie al Progetto Erasmus per Wageningen (Paesi Bassi), dove svolgerà il tirocinio applicativo, necessario allora per potersi laureare in Scienze Forestali (indirizzo della Facoltà di Agraria).
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Nel romanzo di formazione Un’Incredibile Estate. Don’t Give up! (Altrimedia Edizioni, 224 pagine, ordinabile in tutte le librerie e on-line), i mesi di Erasmus diventano per il giovane protagonista lo spartiacque tra il suo passato segnato da una scarsa consapevolezza di sé, e un futuro finalmente vissuto da protagonista. L’inebriante atmosfera, inneggiante alla diversità e alla multiculturalità, e i rapporti stretti là con altri “Erasmus” provenienti da tutta Europa, aiuteranno il protagonista a scrollarsi di dosso l’opprimente involucro dettato da condizionamenti esterni (familiari, ambientali, sociali), e a liberare il suo vero io. Ma l’ “incredibile estate” narrata nel testo, coincide con quella esaltante del Pirata: nel corso della permanenza del protagonista nei Paesi Bassi (maggio-agosto ’98), Marco Pantani realizzerà l’epica impresa della doppietta Giro-Tour, come noto, da allora non più replicata. Nel romanzo infatti, le vicende a tratti impetuose del protagonista in questo percorso di autoaffermazione, in certi passaggi si mescolano con gli eventi di quegli scampoli di fine anni Novanta.
Come avviene nel capitolo Arancione, in cui viene descritta l’atmosfera surreale vissuta dal protagonista in gita ad Amsterdam, proprio nel giorno del quarto di finale Olanda-Argentina dei mondiali del ’98. O ancora, con citazioni delle prime imprese di Marco in quel memorabile Tour, sino ad arrivare al suo capolavoro, ovvero alla 15a tappa della Grande Boucle di quell’anno, l’indimenticabile Grenoble-Les Deux Alpes. Quell’impresa è celebrata in un capitolo del romanzo, Vola Marco vola, in cui soprattutto però si rende giustizia ad un campione immenso, a quel piccolo grande uomo capace di soffrire e sopportare lo sforzo come nessuno, forse perché il suo lavoro coincideva con la sua passione, con la sua ragione di vita: la bicicletta. Evidentemente virtù troppo scomode per un paese balordo come il nostro.
A cura di Andrea Giorgini Copyright© InBici Magazine ©Riproduzione Riservata