Riflessioni a ruota libera sul ritorno a Giro di Grecia: in Italia dobbiamo imparare ad essere umili.
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Se qualche squadra italiana in più avesse chiesto di prendere parte al Tour of Hellas sarebbe stata una scelta vincente.
Un giro rinato dopo dieci anni di stop, tanto entusiasmo e tanta voglia di sviluppare il ciclismo.
La Grecia che noi ci immaginiamo, fatta di isole, di spiagge, di sole e barchette bianche e azzurre è anche Grecia fatta di tanto ciclismo. Ad ogni partenza di tappa e ad ogni arrivo gli organizzatori avevano messo in piedi un bike festival dedicato ai ragazzini. Prove di abilità con la bici da corsa, o mtb, gimkane, ostacoli, percorsi per grani e piccini. Tantissimi ragazzini in bicicletta per uno sport che nella patria dove sono nati i giochi olimpici si sta sviluppando sempre di già.
La cultura della bicicletta sta letteralmente in Grecia. Poi succede che a Karditsa, città della bicicletta, mentre arriva la tappa del Giro di Grecia, vedi che si allena un marciatore che ha partecipato a ben tre Olimpiadi, uno stadio di atletica pieno di ragazzi che gareggiano e tantissimi cicloamatori.
Nella tappa finale, che ha avuto anche mezz’ora di neutralizzazione sulle Meteore causa nebbia, proprio sul Gran Premio della Montagna a 1500 metri c’era davvero tanta gente ad attendere i corridori. Qualcuno in Italia ha avuto modo di dire: eh ma le cadute eh ma gli arrivi. Innanzitutto il Giro di Grecia ripartiva dopo dieci anni di stop e quindi un grande applauso agli organizzatori che hanno avuto la voglia e la forza di far rinascere una corsa a tappe nel paese ellenico. Il ciclismo negli ultimi dieci anni ha avuto una evoluzione copernicana quindi riadeguare agli standard nuovi non è stato semplice.
Per le cadute, se a un corridore si spacca una sella (made in Italy) sul traguardo o scoppia un tubolare (made in Italy) a un altro corridore, è colpa degli organizzatori, dei corridori, delle aziende o dei meccanici o degli stessi corridori che a volte non sanno stare in piedi? Il problema, per il ciclismo italiano invece è un altro. Perché le continental tricolori, eccetto alcune, continuano a svolgere solo attività in Italia e non mettono il naso fuori del territorio patrio? Potrebbero vedere come sono organizzate le continental straniere o le professional, che fanno conoscere il mondo ai propri corridori.
Insomma come sempre, tutti a pronti a criticare ma quando c’è da fare un ragionamento concreto sulle cause di un ciclismo in declino e non per colpa della Federazione, si fanno voli pindarici senza andare al nocciolo della questione. Ma ritorniamo al Giro di Grecia: nell’evento abbiamo trovato tanto entusiasmo, tanta voglia di crescere, di conoscere il ciclismo, di imparare anche con umiltà analizzando eventuali propri errori per entrare nella categoria dei grandi. In Italia diamo ormai per scontate troppe cose e volte un po’ di umiltà per ripartire non guasterebbe nemmeno a noi…
a cura di Tina Ruggeri Copyright© InBici Magazine ©Riproduzione Riservata