Silvio Martinello e il ciclismo: una storia lunga e di grandi soddisfazioni. La quasi ventennale carriera da ciclista (professionista e pistard dal 1985 al 2003), fonte di conoscenza e competenza per valutare il contesto attuale. Vale la pena ricordare due tappe al Giro con la maglia rosa indossata per quattro giorni nel 1996, una frazione alla Vuelta di Spagna e ancora successi alla Tirreno-Adriatico e al Giro di Svizzera. In pista poi altre firme: Sei Giorni con Marco Villa, campionati italiani e del mondo e due medaglie olimpiche (oro ad Atlanta nel 1996 nella corsa a punti e bronzo Sydney nel 2000 con Marco Villa nella Madison).
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Nell’ultima puntata di Bike2U, su Sport2U in collaborazione con OA Sport, condotta da Gian Luca Giardini, Martinello si è prestato ad alcune valutazioni riguardanti la contemporaneità, a livello internazionale e soprattutto relative al contesto italiano. “Mi dedico alla mia attività e chiaramente seguo con attenzione il ciclismo, l’attesa di questa nuova stagione, cerco di tenermi aggiornato“, le sue prime parole.
Il primo tema approfondito è stato quello dei cambiamenti nella preparazione degli atleti: “Se pensiamo ai tanti campioni che quest’epoca ci sta regalando, ci sono corridori che riescono a fare cose impensabili in un’età assai giovane. Mi riferisco, ad esempio, a Tadej Pogačar che ha già vinto due Tour de France, una volta alla Grande Boucle si andava a 25/26 anni. Le ragioni di questo fenomeno sono diverse. C’è un approccio mentale che fa la differenza, in altre parole la capacità di sopportare i grandi carichi di lavoro per essere subito competitivi. Questo però ha anche delle controindicazioni perché molti si perdono per strada. Inoltre, molto probabilmente, questi atleti che si stanno imponendo in maniera così precoce non penso che potranno spingersi così in avanti nella loro carriera, come fatto da Alejandro Valverde, per fare una menzione, o anche dal nostro Vincenzo Nibali.
In Italia? All’orizzonte, non si vede un gruppo di fuoriclasse, parlando delle corse su strada. Servirebbe capire come noi lavoriamo con i giovani e cosa siamo disposti a fare per cercare di modificare la nostra tradizione. Nel Giro d’Italia U23 del 2022 fu proposta una tappa molto impegnativa dove ci furono distacchi di una certa importanza e molti direttori sportivi si lamentarono per l’eccessiva durezza del percorso. Ci sono due visioni differenti: una tende a tutelare troppo l’integrità fisica dei ragazzi; la seconda ritiene di dover imporre un carico di lavoro tale da far capire la durezza del ciclismo. Magari, quanto sta accadendo a livello internazionale, dovrebbe invitare a una riflessione“.
Giardini ha poi posto l’accento su un dato: 101 corridori Under23 tesserati tra World Tour e Professional che hanno meno di 23 anni. Martinello ha risposto in maniera chiara: “Numeri che pongono all’attenzione la funzione della classe Unde23. Se tanti sono già tesserati, ad esempio, per formazioni Professional e World Tour, viene veramente da chiedersi che valore abbia questa categoria con la strutturazione attuale. Cito un episodio storico, sotto il profilo politico, ovvero quello della rivoluzione del 1993: modifica dell’assetto delle categorie dilettantistiche diventate Under23 e dei professionisti diventati Elite. L’Italia è mancata completamente sotto il profilo decisionale, come anche ora. Noi per moltissimo tempo non abbiamo toccato palla, nel senso che eravamo abituati a occupare tutto il podio al campione del mondo dilettanti e ci abbiamo messo un po’ a capire”.
Ruolo della formazione, in questo discorso, è fondamentale, affiancando altre discipline come mountain bike, ciclocross e attività in pista: “La formazione è fondamentale in tutti i contesti. Parliamo di una disciplina che necessita di formatori preparati e aggiornati che devono conoscere, non solo come gestire la crescita di un ragazzo e di una ragazza fisicamente, ma anche sotto il profilo psicologico. Il ciclismo è molto esigente e ci si avvicina se si è animati da una grande passione. Purtroppo c’è chi ha grande motivazione, ma ha pochi mezzi e vale anche il contrario. Il formatore ha una responsabilità. Tutti noi abbiamo fatto un percorso e nel ciclismo c’è sempre stata una selezione nei passaggi di categoria perché quando le difficoltà aumentano è naturale che accada. Ora in Italia assistiamo a una selezione che è da ricondurre ad altre ragioni, purtroppo, per diverse problematiche, accentuatesi nel post pandemia, facendo emergere vari limiti di natura economica. Inoltre sono venuti meno il volontariato e il reclutamento, legato quest’ultimo alla problematica della sicurezza stradale. I genitori sono più sicuri se i propri figli fanno un’attività in un campo da gioco piuttosto che in strada“.
E dunque quale potrebbe essere un’eventuale ricetta? “Credo sia necessario sedersi attorno a un tavolo e trovare qualche forma di sussidiarietà. È nota la mia candidatura alla presidenza della Federciclismo di due anni fa e nel mio programma proponevo qualche soluzione. Abbiamo parlato delle tre problematiche principali (economica, volontariato e reclutamento, ndr), io proponevo ad esempio di sollevare dai costi di affiliazione di tesseramento le società giovanili, cercando questi introiti nelle realtà amatoriali. Tutti sappiamo che ci sono molti enti di promozione sportiva che fanno una concorrenza “sleale” nei confronti della Federciclismo dove il tesseramento costa molto meno rispetto a quello federale. Con questi enti si può discutere e ragionare”.
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