Giuseppe Saronni, lombardo classe 1957, resta – dopo Coppi – il campione più precoce del ciclismo italiano: debutto a 19 anni e vincente, primo trionfo al Giro nel 1979 a 21 anni. Poi manager di squadre, cercatore di sponsor, scopritore di talenti come Tadej Pogacar al via del Tour de France che scatterà il prossimo 1° luglio da Bilbao per concludersi, come da consuetudine, sui Campi Elisi: “Tadej, per quello che mi risulta, nonostante non stia correndo e stia facendo un avvicinamento al Tour diverso dagli scorsi anni, è in buona salute e sta bene“.
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Juan Ayuso ormai è esploso. Pensi che arriverà a breve al livello dei Pogacar, Roglic e Vingegaard?
“Ayuso è un ragazzo che ha delle grandi qualità, da quando è passato professionista ha sempre avuto un occhio di riguardo e non è mai stato un aiuto per la squadra ma è cresciuto con la mentalità da leader. Deve crescere ancora molto e deve trovare un po’ più di continuità nelle sue prestazioni, ma è uno di quei ragazzi che fanno i numeri e regalano spettacolo”.
La Spagna non ha avuto nessuno per una decina d’anni dopo Contador, ora però ha trovato Ayuso, senza dimenticare Mas e Carlos Rodriguez…
“In Spagna c’è un discreto ciclismo e anche loro come tutti i paesi storici nel mondo del ciclismo erano un poi in difficoltà con l’avvento di queste nuove generazioni, ma hanno ragazzi importanti che stanno crescendo. Il problema più grosso, visto l’andamento generale, ce l’abbiamo noi in Italia purtroppo”.
Zana sembra crescere corsa dopo corsa: secondo te è lui l’italiano che può provare a vincere una corsa a tappe? O lo vedi meglio nelle Classiche impegnative come Liegi e Lombardia?
“E’ uscito dal Giro benissimo, con un’ottima condizione. Bisogna sempre tenere presente la qualità delle gare, ma vincere e fare bene è sempre difficile. Zana è uno dei nostri ragazzi che sta andando forte, fino a poco tempo fa è stato un uomo squadra e sarebbe bello vedere con un po’ più di libertà dove può arrivare. Il nostro grande problema? Abbiamo tanti corridori italiani che però corrono per squadre straniere (visto la mancanza di una formazione italiana World Tour) e quindi vengono sacrificati”.
Con Jonathan Milan abbiamo trovato un velocista al livello di Petacchi e Cipollini?
“Milan non lo conosco come corridore, ma l’ho seguito e nel mondo del professionismo troverà delle grandi possibilità. E’ un velocista di progressione e cioè che quando riesce a lanciarsi trova una velocità massima difficile da contrastare. I velocisti di progressione, come anche Petacchi e Cipollini, sono corridori che partono lunghi oppure attaccano da dietro lavorando di rimonta. A Milan credo manchi solo un treno ad hoc, ma ha davanti a sé una grande strada”.
La morte di Gino Mäder e il fattore di rischio che non potrà mai essere estirpato nel ciclismo: come la vedi?
“Quando succedono queste cose, ti fermi a pensare. Il ciclismo purtroppo è fatto in questo modo e ha questa percentuale di rischio, poi possono esserci tante altre cause. Tutti hanno le proprie ragioni ed esigenze. Secondo me il gruppo non è fatto da troppi corridori ma ci sono troppe squadre presenti in corsa, ma nessuno si azzarda a dire queste cose. Ci vorrebbe che qualcuno fuori – che non abbia particolari interessi – lo facesse presente. Il numero delle squadre esaspera i movimenti in gruppo. Oggi poi questi ragazzi sono preparatissimi, hanno dei mezzi che tecnologicamente sono avanzatissimi e portano i corridori a delle velocità incredibili. Le ruote a frangia alta, per esempio, sono talmente performanti che bisogna prestare una grandissima attenzione perchè portano i ragazzi a velocità incredibili e in corsa ti fanno fare meno fatica, ma tutti questi fattori ti portano ad avere delle situazioni in corsa per cui, quando raggiungi il massimo, alla minima disattenzione o fattore esterno possono provare dei danni. La tecnologia di oggi ti porta ad avere delle grandi prestazioni, ma bisogna saperle gestire, a volte tirando un po’ il freno”.
Quale potrà essere la coesistenza tra Ayuso e Pogacar alla UAE: rischia di prodursi un dualismo interno?
“Non credo, nel ciclismo di oggi ci sono talmente tante gare e spazio che si possono programmare calendari diversi. Chiaramente poi dipenderà anche da loro, ma gestire due campioni così non è complicato”.
Se dovessi scommettere su due nomi italiani il futuro, su chi lo faresti?
“I giovani non li conosco così bene, posso dire che mi aspettavo qualcosa in più – ma non è una critica – da Bagioli e Ballerini. Li ho visti qualche anno fa e pensavo crescessero di più, invece ho visto una battuta d’arresto. Giovani promettenti per un futuro ad alto livello faccio fatica, ma speriamo vengano fuori. Non voglio essere pessimista e in generale vedo un ciclismo italiano in difficoltà, anche se spero di sbagliarmi”.
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