Il ruolo del portiere, in una squadra di calcio, è il più complesso. E’ la sicurezza della squadra, e spesso deve sobbarcarsi il peso di una sconfitta, quasi mai di una vittoria. Se perdi, la colpa è sua, ma se vinci, il merito è di chi ha segnato.
Training Camp Spagna Costa Blanca
A Febbraio pedala con la tua bici
dove si allenano i campioni del Tour de France, Giro d'Italia e Vuelta Espana
Scopri di più
Greg Van Avermaet, da giovane, è stato un portiere. Ha dovuto abbandonare i pali per un infortunio; un rimpianto per lo sport del pallone, perché Greg era molto bravo con i guantoni, tanto da conquistare un posto in prima squadra nel Beveren, Serie A belga. Da grande, poi ha scelto di diventare attaccante, in bici però.
E di solito è affine al pavé contrassegnato dal ruggito del leone rampante della bandiera fiamminga. Sua una Ronde, tra le altre cose. Sua una Roubaix. Suo un titolo olimpico, a Rio, nel 2016. Suo il fardello del “bravo, ma poco vincente”, anche se poi, quando vince, se lo ricordano tutti. Perché Greg, quando vince, vince bene. E se accorgono tutti.
Oggi, Greg, non ha vinto a modo suo. Non attaccando “alla belga”. Oggi Greg ha vinto insieme agli altri. La cronosquadre, importante per Richie Porte, lo è stata anche per lui. Sua la Maglia Gialla. Suo il batticuore all’arrivo della Quick Step, per pochi secondi alle spalle; e anche all’arrivo di Sky, ancora più vicini, separati da un battito di ciglia. Eppure, il tempo gli ha dato ragione.
Il tempo, elemento incontrollabile e senza possibilità di appello. Così affine alla BMC, che sanno cosa voler dire sfidare le lancette e, a volte, volare oltre l’impossibile di bastonarle. Castigatori del cronometro, più di tantissimi altri. E a Greg, il sole sulla pelle.
A cura di Giulia Scala per InBici Magazine