Da Chiappucci a Pantani, negli anni ’90, una nuova svolta fashion attraversa il mondo del pedale. Che scoprì – grazie a due protagonisti indimenticabili – i denim e la bandana
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Proseguendo sul solco delle rivoluzioni epocali nel mondo della moda, è davvero impossibile ignorare i leggendari Blue Jeans, la scoperta che ha segnato la storia e il costume di intere generazioni, rappresentando l’abbigliamento “casual” per eccellenza.
I blue jeans nascono a metà ‘800, in California, nell’età dell’oro. I jeans, ideati da Levi Strauss come abbigliamento da lavoro per i cercatori d’oro che in quegli anni avevano preso d’assalto quello spicchio di mondo, iniziarono ad esser prodotti dalla Levi Strauss & Co, l’azienda fondata a San Francisco (oggi più comunemente conosciuta come Levi’s) che, con il celebre ed intramontabile modello 501, ha creato il marchio di jeans più conosciuto e venduto di sempre.
Perché il Denim approdi nell’universo della moda in maniera dilagante, dobbiamo però aspettare la fine degli anni ’60, inizio ’70, anni in cui le varie case di moda più celebri decisero di “nobilitare” questo capo d’abbigliamento, dandogli un tocco di classe ed eleganza e portandoli sulle passerelle di tutto il mondo.
I ragazzi li adorano e da quel momento non ne faranno più a meno.
In Italia nasce a fine anni ’60 la celebre azienda Carrera, a Verona, città in cui si è poi sviluppato il suo successo e dove ancora oggi si trova la sede centrale.
È proprio con l’azienda Carrera – un nome celebre nel mondo del ciclismo professionistico – che inizia questa storia, più precisamente a cavallo degli anni ‘90. Il primo ciclista italiano a portare in trionfo la trama denim fu Claudio Chiappucci (classe 1963), che fece il suo esordio con il team Carrera nel 1985.
Dopo anni da gregario al servizio di nomi più illustri, divenne “El Diablo” nel 1990, quando stupì il mondo durante il Tour de France di Greg Le Mond. In quell’anno la vita da corridore di Claudio Chiappucci cambiò per sempre: fu infatti l’unico del suo team a resistere fino alla fine, indossando la maglia gialla che, solo alla crono del penultimo giorno, fu costretto a cedere al campione del mondo statunitense che poi vinse quella Grand Boucle.
Ma El Diablo si aggiudicò il secondo posto, ed era un secondo posto che valeva più dell’oro, perché ottenuto su un palcoscenico di prestigio assoluto, superato soltanto da un campione che il mondo avrebbe imparato ad apprezzare come uno dei più grandi fuoriclasse del pedale dell’ultimo secolo. Quel Tour decretò comunque la nascita del fenomeno “El Diablo” del quale tutti finalmente si accorsero. E quel diavolo che correva in “blue jeans” ebbe con la Carrera un sodalizio lungo ben 12 stagioni.
Fu un sodalizio talmente lungo il suo, che vide, nel 1994, l’ingresso e la progressiva crescita nella squadra di un ragazzo di Cesenatico, passato professionista nel settembre 1992 proprio con questo team; il suo nome era Marco Pantani e nella stagione 1994 appunto, quello che poi sarebbe divenuto il più celebre “Pirata”, finì sul podio sia del Giro d’Italia, terminando al secondo posto, che al Tour de France, nello stesso anno; impresa compiuta solo da Coppi prima di quel momento.
E fu così, insieme a Claudio e Marco, che il denim si affermò nell’universo a pedali; e quale modo migliore poteva esserci per fare un ingresso trionfale, se non vestendo i più grandi di tutti!?
Marco Pantani attraversò come una cometa luminosissima tutti gli anni ’90 fino ai primi del nuovo millennio, vincendo tutto ciò che si poteva; nato ragazzo di mare, divenne un Pirata d’alta quota. Amava le salite più di ogni altra cosa e le affrontava con quel suo stile inconfondibile, lasciandosi tutti gli altri corridori alle spalle, come se le sue gambe non sentissero fatica.
E fu proprio dal 1992 al 1996, prima di passare al team Mercatone per il quale correva con la celebre divisa gialla, che Marco regalò all’Italia e al mondo le sue più grandi imprese, indossando un abbigliamento interamente in “denim”.
E’ sempre di questi anni una svolta radicale nel mondo del fashion applicato allo sport. A lasciare il segno, con un gesto casuale e per nulla premeditato, fu proprio Marco Pantani che, nei primi anni ’90, decise di sostituire il classico cappellino da ciclista – che secondo lui non era adatto alla forma della sua testa e alle sue orecchie – con una bandana che divenne ben presto un’icona in ogni parte del globo; quell’accessorio, portato nei più svariati modi e simbolo di appartenenza in diversi contesti e momenti storici, divenne più che mai il simbolo, la firma di Marco Pantani.
Lui si presentava in gara così: completo interamente in trama denim, finanche ai guanti, bandana, orecchino, pizzetto e una grinta che in pochi conoscevano.
Pantani è stato forse il personaggio più iconico che il ciclismo abbia conosciuto e che, più di qualunque altro nella storia, ha legato la sua immagine ad un accessorio, la mitica bandana, così come ad una texture, il denim.
Quando la malinconia per la prematura scomparsa lascia il posto ai ricordi indelebili, alla gioia e all’immortalità delle sue vittorie, quando si parla di ciclismo, il pensiero di ognuno va sicuramente a lui. Alla sua sagoma inconfondibile e quei “dettagli” che, a modo loro, hanno fatto la storia del ciclismo.
di Eleonora Pomponi Coletti – Copyright © INBICI MAGAZINE