Una stagione complessa ma che ha regalato molti spunti anche in ottica futura sul nostro ciclismo, ma non solo. Abbiamo infatti analizzato la stagione con un profondo conoscitore del mondo ciclisti come Wladimir Belli. Ecco il pensiero dell’ex professionista ed attuale commentatore per Eurosport.
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Wladimir, a bocce ferme, che giudizio puoi dare sulla stagione appena conclusa?
“È stata senza dubbio una stagione difficile, eravamo partiti con l’UAE Tour e la Parigi Nizza a inizio stagione, corse che poi non si sono potute concludere a causa dell’inizio della pandemia. La stagione poi è ripartita ma è stata raggruppata in quattro mesi, portando il Giro ad essere concomitante con alcune delle Classiche Monumento, alcune delle quali corse anche a ridosso del Tour, mettendo nelle condizioni i big di dover compiere delle scelte. Di questo ne ha risentito molto lo spettacolo. La problematica maggiore è stata legata all’allenamento, con tanti ragazzi che non sono potuti uscire in strada ad allenarsi. Il calendario 2021, poi, ha già subìto delle variazioni: sembra, infatti, che le corse in Australia siano state rinviate, mentre sono in stand by le gare previste in Argentina, anche se, a oggi, sembra possano prendere il via”.
Proviamo ad analizzare la stagione di alcuni big e partiamo dal vincitore del Tour de France, Tadej Pogacar.
“Per me è il corridore dell’anno. Con Van Aert è il futuro del ciclismo, ma vincere un Tour a 21 anni come ha fatto lo sloveno non è cosa da tutti, solo i grandissimi sono riusciti in un’impresa del genere”.
Passiamo poi al trionfatore della Vuelta Primoz Roglic, cosa puoi dirci?
“E’ un corridore che c’è sempre, un molosso, che fa sempre la sua parte. Ha vinto il Tour de l’Ain con una prova importante. Al Delfinato se non fosse caduto alla penultima tappa, avrebbe vinto la corsa. Al Tour gli è mancato il colpo del ko, perchè ha tenuto aperta la corsa, poi Pogacar ha fatto un numero da fenomeno e lo ha beffato”.
Cosa puoi dirci del vincitore del Giro d’Italia, Tao Geoghegan Hart?
“Con Thomas fuori classifica subito e Yates messo fuori causa dal virus, è riuscito ad emergere. Mi viene in mente la classe del 1970 quella che ha visto uscire corridori come Pantani, Bartoli, Rebellin, Casagrande e il compianto Casartelli, uomini che hanno di fatto soppiantato la leva precedente dei Bugno, Chiappucci e così via. La sua vittoria è significativa per un importante ricambio generazionale”.
Come valuti la stagione di uno dei big come Peter Sagan?
“E’ un po’ il simbolo di questo ricambio generazionale. Lo slovacco si è trovato a battagliare con ragazzi giovani e forti che lo hanno messo in difficoltà, al Giro è riuscito a vincere una tappa e provato a dare spettacolo. Ha fatto molto bene ma, forse, gli è mancato il guizzo per vincere qualche classica in più”.
Capitolo italiani: che bilancio possiamo fare per i nostri corridori?
“Filippo Ganna ha dimostrato d’essere un corridore di levatura mondiale, il più forte a cronometro. Per le corse a tappe ci sono state tante, troppe difficoltà. Fabio Aru ha perso le certezze ma è un testardo e vuole riemergere anche se i problemi che ha avuto nel corso degli anni gli hanno tolto un po’ di certezze, deve ritrovare tranquillità. E’ stato scaricato in malo modo e adesso deve trovare una squadra che gli permetta di lavorare bene. Onestamente, mi viene qualche dubbio sulla sua preparazione: ok i tanti guai fisici, ma sono tre anni che sta facendo fatica. Dovrebbe tornare ad avere un allenamento come quello che aveva da dilettanti con poche corse ma mirate. Aru non è un corridore alla Roglic, che cresce nel corso della gara: il sardo ha bisogno d’essere in condizione. Deve tornare a credere nei suoi mezzi. Sarebbe più interessante una maggiore multidisciplinarietà quando non si corre. Se ci si focalizza troppo sull’allenamento in bici si arriva a Marzo/Aprile mentalmente saturi e si fa fatica”.
Ciclomercato: un tuo pensiero sugli spostamenti?
“Froome ha cambiato squadra, così come Trentin e Lopez, mentre Aru deve ancora decidere. Credo che fondamentalmente i giochi siano fatti, non mi aspetto grossi cambiamenti. La situazione economica influirà sui budget a disposizione delle squadre, per esempio non ci saranno più triennali faraonici ma bisognerà ridimensionarsi. Ma è un problema che andrà a colpire a cascata su tutti anche sugli organizzatori di corse per Juniores e dilettanti che non avranno grossi capitali da mettere a disposizione. A livello di tesseramenti i numeri sono molto alti per quanto riguarda i giovani che iniziano a correre, salvo poi perdersi perchè ci sono squadre forti che vanno in giro ad acquistare i talenti migliori, monopolizzando il mercato e di fatto non creando competizione, questo porta alla rinuncia da parte di molti team ed è una cosa che non fa bene al movimento”.
Come è stato raccontare il ciclismo senza il pubblico in strada?
“Nel 1990 correvamo il Giro dei dilettanti che per l’ultimo anno s’intersecava per il tratto finale con il percorso fatto dai big (in maglia rosa arrivò Bugno, ndr) e abbiamo fatto il Pordoi con circa 500 mila persone dalla strada, così come nel 1994 all’Aprica dove Pantani fu preso per mano da tantissimi tifosi. Da commentatore posso dire che per certi versi è stato più “facile” perchè si riusciva a vedere prima cosa accadeva in corsa. Credo, inoltre, che sia giusto dare maggiori fondi al ciclismo giovanile anzichè, ad esempio, alle granfondo o agli amatori, in modo da formare i giovani corridori per il futuro. Faccio un esempio: nel calcio giocare un derby Milan – Inter davanti a 30mila persone è diverso che farlo a porte chiuse, nel ciclismo si sente meno questa differenza. Discorso diverso per la pista, dove bisogna togliersi il cappello perchè con a disposizione solo Montecatini il ct Villa ha fatto un miracolo sportivo portando l’Italia in alto con talenti come Ganna, Viviani e tanti altri in grado di fare bene sia su strada che in pista”.
In conclusione ti chiedo: da dove e come riparte il nostro ciclismo?
“Ho vissuto in prima persona la situazione a Bergamo, il dramma, le ambulanze che passavano ogni secondo ed è stato drammatico. A livello ciclistico il fatto di aver portato a termine i tre grandi giri significa che i protocolli, le bolle, messe in atto da UCI, squadre e delle Federazioni ha dato i suoi frutti. La cosa che mi auguro è che si possa tornare alla normalità quanto prima, vedere il pubblico in strada vorrebbe dire che le cose stanno tornando al loro posto”.
a cura di M.M –Copyright© Inbici Magazine ©Riproduzione Riservata