Oggi parliamo di sicurezza da una prospettiva inedita, quella delle “vittime”. Ovvero dal punto di vista di coloro che, con dinamiche piuttosto consuete, restano coinvolti in incidenti stradali. E, per fortuna, possono raccontarlo.
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Negli ultimi giorni sono finiti all’ospedale due “addetti ai lavori” del mondo del pedale: Franco Sandrolini, uno dei ciclisti più noti del circuito amatoriale, e Gianluca Giardini, giornalista e voce autorevole del ciclismo.
Le loro sono “storie come tante” che sembrano disegnate con la carta carbone. Franco, vittima delle fatalità, è stato investito da un’auto mentre percorreva una rotonda; Gianluca – vittima dell’eccessiva sicurezza – è finito gambe all’aria tra i tornanti nebbiosi di una discesa. Ascoltarli può essere utile per far tesoro di certi insegnamenti e non ripetere alcuni errori che, in altre circostanze, potrebbero costare cari.
Franco Sandrolini, maledetta rotonda
“Mi sono subito reso conto che quell’auto non mi aveva visto. Ho provato ad allargarmi il più possibile, ma non ho potuto evitare l’impatto. E per fortuna che avevo il casco, altrimenti non sarei qui a raccontarvela“. Malgrado la lunga degenza (per lui bacino rotto e 30 giorni di prognosi), “Frank” Sandrolini – 70 anni, una passione smodata per il pedale e 70 primavere sulle spalle – non vede l’ora di tornare in sella: “Lo shock dell’incidente? Già metabolizzato. Se i medici mi danno l’ok, io fra una settimana risalgo in bici”.
Franco ha ripercorso decine di volte la dinamica del sinistro di quel 25 gennaio e oggi si è fatto un’idea ben precisa delle responsabilità: “Sul piano giuridico, codice alla mano e visti i rilievi della Polizia, direi che la responsabilità dell’incidente sarà attribuita al 100% all’automobilista. Ma sul piano morale, forse, qualche colpa me la sento addosso anch’io. Visto che vado in bici dal 1968, con tutta l’esperienza accumulata in questi anni, avrei dovuto prevedere i rischi di quella rotatoria. Lui non mi ha visto, d’accordo, ma non era la prima volta che percorrevo quella rotonda e sapevo che certe situazioni potevano diventare pericolose. Avrei dovuto essere più previdente e, non appena ho visto l’auto, stringere i freni e fermarmi sul lato della carreggiata”.
Spirito viaggiante, con una grande passione per le imprese (dal Tibet al Nord Europa, ha visitato mezzo mondo in sella ad una bici), “Frank” ha staccato il numero da quando aveva 18 anni, ma dentro è sempre rimasto un ciclista puro: “Non facevo un incidente dal 1968 – dice – il problema è che le strade oggi sono diventate troppo pericolose per noi ciclisti. Nelle rotonde, ad esempio, rischiamo sempre la vita, sia che tu le prenda a passo d’uomo sia che tu le affronti con la velocità delle auto. In tutti i casi i rischi sono altissimi. La ragione? Manca sulle strade la cultura del rispetto. Sono stato in Olanda, in Spagna o in Germania e ho capito che lì il rapporto fra automobilisti e ciclisti è completamente diverso. E’ una questione di educazione che, probabilmente, s’impara a scuola. Da noi, invece, prevale l’astio, la fretta, l’impazienza e quell’inciviltà che, sulle strade come nella vita, rende difficile ogni forma di serena convivenza”.
Gianluca Giardini, galeotta la troppa sicurezza
Se esiste sulle strade un ciclista esperto e smaliziato che conosce i trucchi del mestiere e sa come si sta in bici, quel ciclista è Gianluca Giardini.
Lo chiamano il “re dello sghetto” per quella capacità naturale di scansare i pericoli, aggirare gli ostacoli ed uscire sempre indenne dalla giungla del traffico.
Ma, stavolta, tradito forse da un eccesso di sicurezza, anche Gianluca Giardini – vent’anni dopo l’ultimo capitombolo – è finito gambe all’aria: “Mi ha salvato il casco – racconta convinto – perché altrimenti, con la craniata che ho dato, sarei ancora lì. Era un sabato un po’ umidiccio e nebbioso a Bologna, ero uscito nella pausa pranzo perché, ad una certa età, certe levatacce preferisco evitarle. Di solito non vado sulle strade trafficate e preferisco girare in zone più periferiche della città. E così avevo fatto anche quel giorno.
Avevo imboccato una strada di campagna con il fondo un po’ sconnesso. Tanto il gravel va di moda, ho pensato, e quindi sarebbe stato divertente. Ad un certo punto, in un tratto in discesa, imbocco a velocità moderata una curva un po’ ripida. Il classico tratto ‘bruttino’, ma in carriera ho fatto molto di peggio e dunque lo affronto senza particolari apprensioni. Poco prima del tornante, però, transito su un fondo ciottoloso e sporco la bici e, quando imposto la curva, complice anche il manto scivoloso, perdo il posteriore e mi ritrovo steso a terra. Ho dato una testata incredibile e, se oggi sono qui a raccontarlo, lo devo al casco che mi ha salvato. Ho sbattuto anche la spalla che, ancora oggi, è dolorante, ma per fortuna, malgrado qualche acciacco, me la sono cavata senza neppure una frattura”.
Giardini, che come i gatti ha nove vite, è tornato a casa con le sue gambe e, senza alcun pudore, recita il mea culpa: “Tante volte ci facciamo fregare da un eccesso di sicurezza – ammette – e questo è sbagliato perché, sulle strade, il rischio zero non esiste. Il ciclista esperto sa cavarsela in tante situazioni, ma a volte esagera e, per guadagnare qualche secondo, mette a repentaglio la sua incolumità e quella degli altri. Anche nelle rotonde si vedono cose folli con ciclisti piegati sul filo del cordolo neanche fossero al Tour de France. Ci vuole prudenza e, soprattutto, la velocità va sempre commisurata alle proprie capacità tecniche”.
Problemi vecchi, ma anche insidie nuove: “Il lockdown – denuncia – ha messo sulle strade migliaia di ciclisti neofiti che, durante la pandemia, hanno imparato ad andare in bicicletta sui rulli di casa. L’inesperienza e la scarsa attitudine alla corsa sono i fattori che innalzano sensibilmente la soglia di rischio”.
E a completare l’opera… “ci pensano gli automobilisti che, soprattutto in Italia, hanno un odio radicato nei confronti delle biciclette. All’interno delle corse la sicurezza è cresciuta notevolmente, ma è sulle strade urbane che si rischia di più. E’, come sempre, un problema di educazione ed è per questo che, per salvare la pelle, a volte il ciclista deve ridimensionare i propri diritti e, anche se ha la precedenza, togliere il piede dal pedale e ragionare più con la testa che con il codice della strada. Perché, come diciamo sempre, se un automobilista sbaglia rischia di rigare la carrozzeria, se sbaglia un ciclista c’è caso che non lo riesca neppure a raccontare”.
a cura di Mario Pugliese – Copyright © InBici Magazine ©Riproduzione Riservata