Ha appeso la bicicletta al fatidico chiodo nel 2019 ma, anche senza il numero sulla schiena, in casa Moser, è quasi impossibile non parlare di ciclismo.
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Moreno – figlio di Diego, nipote di Francesco, Aldo ed Enzo, fratello di Leonardo e cugino di Ignazio – sa che il suo cognome, nel mondo delle due ruote, è uno stemma araldico che non si stacca. E così – dopo una bella carriera nei professionisti tra Liquigas, Cannondale e Astana – rieccolo in sella con una nuova mission: da qualche settimana, infatti, Moreno Moser è il nuovo ambassador di Assos, “un marchio – dice – che, al di là di ogni logica commerciale, nel mondo delle due ruote, è una leggenda”.
Moreno, qual è il ciclista italiano che oggi ti appassiona di più?
“In questo momento in Italia c’è la Ganna-mania e, per quello che sta facendo Filippo, mi pare anche giusto che si parli tanto di lui. A me onestamente mi sta stupendo perché sapevo che era un mostro in pista e nelle cronometro, ma non immaginavo che potesse essere così competitivo anche su strada”.
C’è chi lo paragona a Cancellara…
“In effetti l’accostamento sorge spontaneo, anche se per il momento i palmares sono un po’ diversi, ma io credo che, già a partire dalla prossima Roubaix, Filippo possa fare qualcosa di grande, qualcosa che all’Italia manca da troppo tempo”.
Dunque, potrebbe essere lui il nostro uomo delle Classiche?
“Non è facile, nel ciclismo di oggi, fare previsioni. E il fatto che lo stesso Ganna possa vincere la Roubaix anche se, negli anni scorsi, non è entrato neppure tra i primi dieci, dimostra che qualcosa sta cambiando. Qui, nell’arco di pochi anni, i valori si stravolgono totalmente. Restando alla Roubaiux, ad esempio, Van Avermaet non lo vedo più ai massimi livelli, Kristoff a volte va e a volte no, Sagan stesso non ha più la continuità di un tempo e uno come Gilbert deve anche fare i conti con l’anagrafe. Insomma, fare pronostici è diventato terribilmente complicato…”.
Per quale ragione?
“Perché, rispetto ai miei anni, adesso i giovani li lanciano subito ad alti livelli e dunque, da una stagione all’altra, possono spuntare valori che nessuno aveva previsto. Questo velocizzerà il ricambio generazionale, renderà le corse sempre più incerte e, in linea generale, accorcerà la carriera dei ciclisti che, rispetto al passato, faticheranno molto di più a restare ad alti livelli per tanto tempo”.
Il livello del ciclismo è dunque tornato ad alzarsi?
“Non lo dico io, ma i corridori. Penso all’intervista che ha rilasciato Nibali al Giro, quando ha detto che, sul piano dei watt, lui andava esattamente come negli anni d’oro. Il problema è che, evidentemente, non basta più”.
Dunque, anche il duello fra Van Aert e Van der Poel potrebbe finire a breve?
“Nel loro caso non credo perché sono molto giovani e, soprattutto, molto forti. Con Alanphilippe penso che domineranno le prossime stagioni, anche se il loro modo di correre, così folle e sregolato, non potrà durare a lungo”.
In che senso?
“I ciclisti che provengono dalla strada hanno un altro modo di correre. Sono più attendisti, più calcolatori e, in alcune fasi della gara, corrono da tattici. Van Aert e Van der Poel, invece, provenendo da tutto un altro mondo, non conoscono i trucchi della ‘vecchia scuola’ e quindi, a volte, li abbiamo visti fare cose pazzesche. Pensiamo ad esempio all’Amstel di Var del Poel… lui, vedendo che nessuno si muoveva, è partito in largo anticipo ed ha tirato la volata a tutti. Un errore tecnico clamoroso, avrebbe detto un vecchio team manager, eppure ha vinto”.
Ciclismo e social, tu che conosci questo mondo che idea ti sei fatto?
“I social stanno cambiamo lo sport e dunque anche il ciclismo, anche se una corsa di cinque ore, per quanto spettacolare, non è esattamente il prodotto ideale per una piattaforma fotografica come Instagram. A volte funziona la volata, altre volte la caduta ma, rispetto alla spettacolarità coreografica di altre discipline, come ad esempio lo snow-board, la bicicletta per social ha un appeal abbastanza ridotto. Nonostante questo i social sono un fattore e non mi meraviglierei se, fra qualche anno, i contratti si stipulassero anche in base al numero dei follower”.
Dunque ciclisti sempre più social?
“Ci andrei piano anche perché i margini di guadagno per un corridore sono molto ridotti. In genere, nel rapporto con i brand, ci sono vincoli contrattuali imposti dalla squadra e, dunque, tolti gli occhiali e, a volte, le scarpe, non c’è troppo margine per delle azioni individuali di sponsoring”.
E, a proposito di sponsor, parliamo di Assos…
“E’ una partnership a cui tengo in modo particolare perché Assos è, da sempre, un marchio iconico, uno status, per chi va in bicicletta ad alti livelli. Non posso fare i nomi ma conosco tanti professionisti che, pur violando i loro obblighi contrattuali, si fanno cucire il fondello Assos nei loro pantaloncini perché, sul piano della qualità, non c’è nulla di più affidabile sul mercato. Assos è stata brava, sul fronte della ricerca, a non dare mai nulla per scontato ed oggi ha capi tecnici che, obiettivamente, nessun’altra azienda è in grado di produrre”.
a cura di Mario Pugliese ©Riproduzione Riservata-Copyright© InBici Magazine