Andrea Vendrame è sicuramente un ciclista unico, a volte sopra le righe ma allo stesso tempo semplice, a volte sorprendente ma allo stesso tempo deciso nelle scelte. Grazie a questo suo carattere il corridore di Conegliano, in costante crescita, sta diventando uno degli uomini di riferimento, non solo per l’AG2R che ha già scommesso su di lui per i prossimi due anni, ma anche per il nostro movimento ciclistico. I tifosi, forse anche per il suo modo di fare, lo amano e per questo motivo abbiamo posto a lui le nostre “10 domande”.
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A Febbraio pedala con la tua bici
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Come per tutti i ciclisti professionisti anche per te questo 2020 è stato particolare per via del Covid ma anche perché era il tuo primo anno in una squadra World Tour. Come hai vissuto questa stagione?
“È stata un po’ strana. Abbiamo iniziato in Australia per poi andare al Trofeo Laigueglia e fermarci al UAE Tour a causa della pandemia. Dopo la ripartenza, tutti i corridori sono arrivati al top della forma alle gare e arrivare nella top ten era molto difficile. Il livello era altissimo. In tre mesi ho corso quasi 40 giorni ed ero praticamente sempre via da casa. Personalmente penso di aver fatto una buona stagione, considerando anche che era la mia prima nel W.T. Questo anno mi è servito per far maggiore esperienza. Avendo la squadra un budget superiore rispetto alle Professional è cambiato il modo di vivere la preparazione, gli spostamenti e i raduni. Da un certo punto di vista mi sono sentito più tutelato. Anche in gruppo avverto un maggiore rispetto da parte degli altri team e dei colleghi. Sono solo dispiaciuto di non aver potuto regalare una vittoria alla squadra”.
Il prossimo anno arriverà anche Greg Van Avermaet, pensi che potrà essere di stimolo o di supporto per la tua crescita?
“Ne ho parlato recentemente anche con il manager della squadra Vincent Lavenu. L’ingresso di Greg può portare molti vantaggi per me. Correre la Sanremo o le Strade Bianche con lui sarà una grande opportunità per migliorare e per imparare. Non lo conosco di persona ma, confrontandomi con i compagni che hanno avuto a che fare con lui, mi hanno detto che è un ciclista molto disponibile”.
Essendo l’unico italiano in una squadra francese è doveroso chiederti come ti trovi con il tuo team?
“Vi racconto un aneddoto, partendo dal presupposto che ho sempre espresso la mia intenzione di voler andare a correre in una squadra estera, possibilmente dove non ci fossero ancora italiani. Il primo giorno di ritiro con la squadra siamo usciti in bici e ad un certo punto ci siamo fermati su una curva. Mi sono trovato solo, un po’ smarrito, senza nessuno con cui parlare e in quel momento ho quasi pensato, tra me e me, di aver commesso un errore ad aver scelto la AG2R. Il caso vuole che, proprio mentre ero immerso in questi pensieri, mi ha chiamato il mio manager e mi ha tranquillizzato sul fatto di aver fatto la scelta giusta per la mia carriera. Poi, pian piano, ho iniziato a parlare il francese e mi sono ambientato. A volte uso anche l’inglese per farmi comprendere. Loro hanno creduto fin da subito in me e io mi trovo davvero bene qui, considero il team come una seconda famiglia”.
Quando hai dato le tue prime pedalate?
“Ho provato molti sport poi, con la spinta di mio zio che era giudice di gara e del postino del mio paese che allenava la squadra dei giovanissimi, ho provato a salire in bici. Alla prima corsa, a sei anni, ho vinto e ricordo ancora la gioia di ricevere tra le mani il trofeo. Ho capito che questo era lo sport giusto per me. Dalle categorie minori fino a juniores, seguendo i consigli anche di mio zio, ho preso il ciclismo come un gioco, poi, da dilettante ho iniziato ad ottenere dei buoni piazzamenti e ho deciso di fare sul serio. Al terzo anno da Under, nel 2015, ero concentratissimo e sono riuscito ad ottenere buone vittorie tra cui quella del Belvedere”.
Poi, forse il momento più difficile nel tuo percorso ciclistico.
“Il periodo più faticoso è stato sicuramente quello dopo l’incidente. Non volevo più saperne di ciclismo e non volevo più tornare in sella. Avevo pensato che fosse finito il mio sogno. Poi a giugno, grazie anche all’insistenza di “Ciano” Rui che tutti i giorni passava a trovarmi e con il supporto di Marco Gaggia mi ha convinto un giorno a riprendere la bici per andare a bere un caffè, ho deciso di rimettermi in marcia. Non era facile anche perché per via della plastica facciale non potevo sudare e per tale motivo in estate mentre mi allenavo mi toccava stare costantemente davanti al ventilatore. Mi rialzai, tornai a correre ottenendo buoni piazzamenti e la convocazione all’europeo di categoria. Poi arrivò il contratto con l’Androni che ringrazierò sempre. Il traguardo del professionismo era raggiunto e ho iniziato a pormi nuovi obiettivi”.
Legato a questo evento c’è anche il nome con cui ti chiamano i tuoi sostenitori. Come è nato il soprannome Joker?
“Due giorni prima dell’incidente stavo guardando il film di Batman. Dopo la mia operazioni, guardandomi il viso segnato, mi raffiguravo nel Joker. Ma ancora più che nell’aspetto mi rivedo nel carattere rivoluzionario, pazzo e senza regole. Sono andato anche a correre in Francia, in una squadra francese, da italiano, quindi sono rivoluzionario anche in questo”.
Come vivi la relazione con i tuoi supporters?
“Mi piace il rapporto che ho con i miei fan che sono sparsi per la penisola. Al Giro d’Italia per esempio ho incontrato sul percorso alcuni mie tifosi romagnoli che si erano vestiti da frati in attesa del mio passaggio. Ho pubblicato su Instagram e Facebook la singolare foto di quella giornata. Cerco sempre di rispondere a tutti i fan che mi scrivono su vari social per mantenere una relazione che mi gratifica. Penso faccia piacere soprattutto ai giovani tifosi avere un piccolo contatto con un professionista”.
Quali sono i tuoi idoli a livello ciclistico e non?
“Come ciclista ho sempre guardato a Oscar Freire poi quando ha smesso di correre ho iniziato a ammirare Philippe Gilbert. Fuori da questo sport invece ho grande stima per un campione indiscusso del calcio Alessandro Del Piero, innanzi tutto perché siamo praticamente compaesani e poi perché è rimasto sempre umile lungo tutta la sua strepitosa carriera”.
Dove ti alleni solitamente?
“Attualmente sono residente nel Principato di Andorra ma appena posso torno a Conegliano per allenarmi sulle strade venete. Sono molto legato alla mia terra natia. Abbiamo dei posti fantastici che ci invidiano in tutto il mondo. Abbiamo pianura, colline, muri come quello di Cà del Poggio e le Dolomiti. A volte andiamo lontano, persino all’estero, a cercare posti per allenarci ma penso di essere fortunato perché qui non mi manca nulla”.
Uno sguardo al futuro. Quale senti sia la direzione giusta da prendere per la tua crescita e quale vittoria ti piacerebbe raggiungere?
“Scherzando ti potrei dire: non lo so! Durante il Giro, al termine della tappa del Sestriere, confrontandomi con i direttori sportivi mi hanno fatto una domanda: Che corridore sei? Ho risposto che non lo so ancora, mi difendo a cronometro, in salita vado abbastanza bene e non ho paura di gettarmi in una volata. Penso di poter diventare un corridore da classiche e con l’ingresso di Greg potrò conoscermi ancora di più. Il mio obiettivo e sogno rimane vincere la Milano Sanremo. In futuro spero di poter correre anche l’Amstel Gold Race che penso sia adatta alle mie caratteristiche”.
a cura di Davide Pegurri – Copyright © INBICI MAGAZINE