Sodio, il regolatore dei liquidi nell’organismo
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“Evolutivamente parlando è come se nella transizione da forme di vita primitive composte da una sola cellula e viventi in mare aperto a organismi composti da più cellule – uno dei passaggi fondamentali della storia della vita sul nostro pianeta – una porzione di mare sia stata trattenuta all’interno dell’organismo pluricellulare evoluto”. Infatti tuttele cellule del nostro organismo vivono a contatto con un liquido extracellulare, ovvero una soluzione salina molto simile all’acqua di mare, costituita da acqua e cloruro di sodio alla concentrazione di 300 milliosmoli che rappresenta l’ambiente interno dell’organismo.
Per le leggi dell’osmosi, questa soluzione salina così concentrata permette di conservare il volume del plasma e la pressione sanguigna e fa sì che tutte le cellule mantengano il loro volume e funzione. Dunque appare evidente come volume di acqua e concentrazione di sodio nel corpo siano due importanti parametri che l’organismo provvede a mantenere costanti nel tempo. A tal proposito, una loro variazione innesca meccanismi compensatori di regolazione, che entrano in atto per ripristinare la stabilità fisico-chimica dell’ambiente interno – “omeostasi” – prerequisito necessario per una buona salute.
Ritenzione idrica: meccanismi cellulari
Per mantenere l’equilibrio idro-salino la quantità di sodio che entra nell’organismo attraverso il cibo deve uguagliare la quantità che esce dall’organismo attraverso le urine, il sudore e perdite gastrointestinali. Un apporto dietetico di sale permanentemente elevato produce un aumento di sodio nel corpo, nello specifico nel liquido extracellulare e nel plasma. Questa variazione salina dell’ambiente interno, induce quella parte di acqua corporea distribuita dentro alle cellule a fluire fuori da esse per diluire il liquido extracellulare ed il plasma allo scopo di controllarne l’osmolalità. Questo è possibile perché, a differenza del sodio che è bloccato attivamente all’esterno delle cellule, l’acqua è libera di spostarsi attraverso le membrane cellulari.
Pertanto, mentre le cellule perdono acqua, si disidratano e raggrinziscono, il liquido extracellulare si allaga ed espande accumulando acqua. Inoltre la spiccata sensazione di sete innescata dalla variazione salina dell’ambiente interno, induce noi ad aumentare l’assunzione di acqua ed il rene a trattenerne la perdita, in risposta al rilascio dell’ormone antidiuretico. Il risultato è un aumento dell’acqua corporea extracellulare finalizzato a riportare l’osmolalità plasmatica ai valori base a scapito di un volume extracellulare espanso. E’ proprio questo il meccanismo che causa il fenomeno della ritenzione idrica responsabile di gonfiori e fluttuazioni inspiegabili di peso. Questo inestetismo particolarmente odiato dalle donne però, non è soltanto una questione estetica, ma anche di salute: infatti qualsiasi squilibrio tra apporto alimentare di sale ed escrezione di sale porta non soltanto all’aumento del volume extracellulare ma anche di quello plasmatico aumentando di conseguenza la pressione sanguigna, il rischio di ipertensione e di patologie cardiovascolari.
Troppo sale fa male?
Il termine “sale” si riferisce inequivocabilmente al cloruro di sodio, la principale fonte dietetica di sodio, un elemento di fondamentale importanza per l’organismo che, predestinato alla sua conservazione dall’evoluzione, non si è ancora adattato all’eccessiva disponibilità e consumo tipico della società moderna. Questa discrepanza si riflette nel numero crescente di persone colpite da ipertensione e malattie cardiovascolari. Al giorno d’oggi infatti si assumono quantità eccessive di sodio perché l’industria alimentare lo utilizza come conservante per le sue proprietà antimicrobiche, come additivo per migliorare le proprietà organolettiche dei cibi e come esaltatore di sapidità negli alimenti trasformati, dove lo troviamo ubiquitariamente nella forma di glutammato di sodio.
A questa quantità elevata di sodio assunta consumando alimenti processati, dobbiamo sommare il sodio contenuto naturalmente in alimenti come latte, uova, carne, pesce ed alcuni vegetali e quello aggiunto dal consumatore durante la cottura ed al momento del pasto. Per questi motivi, l’assunzione attuale di sale nella maggior parte dei paesi del mondo è calcolata per essere circa 9-12g al giorno equivalenti a 3,6 – 4,8 g di sodio – 1 g di sale contiene il 40% di sodio ed il 60% di cloruro – quando basterebbero 0.5g di sodio al giorno per coprire il fabbisogno minimo. Stiamo parlando dunque di circa il doppio rispetto a quanto consigliato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che raccomanda per un soggetto adulto sano di non superare la quantità di 2 grammi al giorno. Anche i bambini sono coinvolti: i dati dimostrano che già a 12 mesi la maggior parte dei bambini italiani supera il limite massimo giornaliero di 1g fino a raggiungere i 7 g al giorno nei bambini più grandi. Questo può diventare un problema clinico importante perché predispone all’insorgenza di ipertensione, anche in età pediatrica.
A conferma del nesso tra consumo eccessivo di sale e ipertensione troviamo non solo studi sperimentali che dimostrano come animali nutriti con una dieta ricca di sale (12 g di sale/giorno = 4,8 g di sodio/giorno) sviluppano ipertensione che può essere annullata riprendendo una dieta a basso contenuto di sale (0,25– 0,5 g di sale/giorno = 0,1–0,2 g di sodio/giorno) ma anche due esempi attuali sull’uomo: l’India registra il più alto consumo di sale al giorno e non a caso si distingue per essere un hotspot per l’ipertensione. Lì si diventa ipertesi in giovane età rispetto alle popolazioni occidentali e i primi infarti e ictus si verificano un decennio prima della media. Al contrario gli Yanomami, tribù non acculturate che abitano nelle foreste del Sud America non mettono sale nei loro cibi e si distinguono per avere la pressione arteriosa più bassa al mondo e per il fatto che tra di loro non si registrano casi di ipertensione.
a cura della Dott.ssa Isabella Lelli biologa nutrizionista – Copyright© InBici Magazine ©Riproduzione Riservata