In questi giorni si è parlato molto del caso di Giuseppe Rossi: il calciatore azzurro è infatti risultato non negativo a un controllo antidoping effettuato al termine di Benevento-Genoa dello scorso 12 maggio. la sostanza riscontrata è il dorzolamide, che agisce diminuendo la produzione di umore acqueo. In seguito a un processo a dir poco breve (altro che i tempi lunghissimi di tante altre vicende doping che abbiamo vissuto nel mondo del ciclismo), Rossi è stato scagionato perché avrebbe assunto questa sostanza in maniera involontaria.
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Al termine dell’udienza, l’avvocato di Giuseppe Rossi ha affermato che non c’è “nessun pericolo di sospensione o squalifica. E’ vero che è stato rinvenuto l’uso di un prodotto dopante, ma è anche vero che da tutti gli accertamenti non è emersa intenzionalità e l’utilizzo è stato di una dose minima”. Nessuna squalifica, solo un richiamo verbale per Rossi.
Da una prima richiesta di due anni di squalifica si è passati a una richiesta di un anno, e in seguito il semplice richiamo verbale. E’ una notizia che fa discutere, anche perché ricorda molto quello che è accaduto alla tennista Sara Errani, anch’ella colpevole di aver ingerito involontariamente delle sostanze dopanti, finite chissà come in un pasto consumato a casa.
L’ex corridore Stefano Agostini, campione d’Italia da Under 23 e un grande passato tra Liquigas e Cannondale, prima del ritiro, scrive a riguardo sui propri social network: “A me dissero che anche se accertata al 100% la mancanza di volontà, la negligenza per il codice WADA prevedeva la metà della pena prevista”. Ricordiamo che Agostini lasciò il ciclismo in modo polemico a soli 25 anni, in quanto fu licenziato dalla Cannondale per essere risultato positivo a uno steroide anabolizzante.
In una lettera aperta, Agostini scrisse: ”Si tratta di una sanzione che non reputo giusta e che non sento per nulla appartenermi dal momento che non ho mai fatto uso di sostanze dopanti. Il mio passaporto biologico è impeccabile, le differenti e plurime analisi del sangue sono ineccepibili. L’emerito laboratorio di Colonia ha rilevato la presenza di 0,7 miliardesimi di grammo nelle mie urine di una sostanza chiamata Clostebol, principio attivo della pomata Trofodermin che io stesso avevo dichiarato al momento del controllo e che, tra l’altro, mi era stata regolarmente prescritta dal medico per curare un’eruzione cutanea”. Dopo 7 mesi, l’UCI gli propose 7 mesi di squalifica, e lui decise di ritirarsi dal ciclismo professionistico sbattendo la porta, ma “a testa alta, consapevole di non aver mai barato e di aver ottenuto tutti i miei risultati con dedizione e sacrificio”, come ha sottolineato nella lettera.
La diversità di trattamento e di giudizio continua a farla da padrone.
A cura di Carlo Gugliotta per InBici Magazine