L’autobiografia di Peter Sagan, intitolata “My World” e dedicata a suo figlio, è ricca di particolari molto interessanti. Alcuni dettagli trapelano da un articolo di Ciro Scognamiglio, su La Gazzetta dello Sport in edicola oggi, alcuni dei quali riguardano il 2015, quando lo slovacco era alla Tinkoff. Alla fine di quella stagione avrebbe vinto il primo dei suoi tre mondiali consecutivi.
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“Ero completamente stanco, infelice – spiega Sagan – cominciai a pensare di spegnere il cellulare e darmi malato“. In quell’anno, Sagan era seguito da Bobby Julich, ex corridore, terzo al Tour de France del 1998 vinto da Marco Pantani. Ma i suoi metodi, basati soprattutto sui numeri e sul misuratore di potenza, stavano uccidendo Sagan: “Nessuno ha mai vinto solo con il misuratore di potenza. Persino Froome ogni tanto deve spegnere il computer e salire in bici su una montagna con gli scarpini da ciclista“.
La svolta di Sagan è arrivata insieme al passaggio alla Bora-Hansgrohe, con la guida del direttore sportivo Patxi Vila e di Sylvester Szmydt come preparatore, suo ex compagno di squadra alla Liquigas. A questo proposito, Sagan spiega che all’ultimo anno da dilettante fece un test con la Quick Step, ma la squadra gli consigliò di correre ancora da Under 23. Poi arrivò la Liquigas, e il resto della storia la conosciamo bene tutti.
A cura di Carlo Gugliotta per InBici Magazine