“Perché segui il ciclismo?” “Perché ho visto correre Marco Pantani”. E’ sempre difficile, per un giornalista, scrivere in prima persona. Ma credo che da questo piccolo dialogo si possa capire quanto la figura di Marco Pantani sia stata importante non solo per un’intera generazione, ma anche per tutti coloro che in quel periodo si sono messi davanti alla tv per la prima volta. A sentire Adriano De San che nelle tappe di montagna, da lì a poco, avrebbe detto: “Si è tolto la bandana. Scatto di Marco Pantani”.
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17 anni fa, di oggi, Marco Pantani ci lasciava. Moriva all’interno del Residence Le Rose di Rimini. Lo scalatore venuto dal mare ci ha lasciati nella notte di San Valentino, in un periodo cruciale per un ciclista, che in questo momento dell’anno dovrebbe porre le basi, nei propri allenamenti, per preparare i grandi giri. Ma la parabola del Panta aveva toccato il punto più basso, e da lì a poco tutto sarebbe finito, dando spazio a un’altra storia.
Quella di Pantani è stata davvero una parabola. Ascesa di un campione che ha dovuto vedersela con corridori del calibro di Miguel Indurain, fino alla doppietta Giro e Tour del 1998, battendo Pavel Tonkov e Jan Ullrich. Pantani è stato l’ultimo corridore al mondo capace di realizzare la doppietta nei due grandi giri. Dopo di lui è riuscito a fare doppietta solo Chris Froome, vincendo però non il Giro e il Tour, ma il Tour e la Vuelta, vinti nello stesso anno nel 2017. Una doppietta diversa da quella realizzata dal Panta. Senza nulla togliere alla corsa spagnola, quest’ultima arriva a fine stagione: le energie sono al lumicino, ed è una gara dove riesce a vincere chi ha maggiore resistenza. Non ce ne voglia Chris, che è un campione che amiamo e rispettiamo profondamente. Ma la doppietta Giro-Tour è qualcosa che hanno provato in molti: ci ha provato proprio il corridore britannico, nel 2018, senza riuscirci (primo al Giro, terzo al Tour); ci ha provato più volte Alberto Contador, ma anche lui non è riuscito a bissare in Francia i successi al Giro. Insomma, questa doppietta rimane ancora un tabù da sfatare.
Ma perché Marco Pantani riesce ad emozionare ancora così tanto? Perché le sue imprese restano ancora impresse nella memoria a 17 anni dalla sua morte? Perché nessun ciclista ha mai affrontato le corse come lui, con la sua sfrontatezza. Attaccando là dove erano le gambe a dire di voler attaccare, nonostante il cervello dicesse che era meglio non farlo. Un esempio? Il Tour de France del 2000. E’ la 16/a tappa, la Courchevel-Morzine. Il giorno prima Marco ha vinto a Courchevel, in quello che sarà il suo ultimo successo da professionista. Ma una vittoria parziale serve a poco, Marco vuole ribaltare quel Tour che è nelle mani di Lance Armstrong. E così si lancia in un attacco pochi chilometri dopo la partenza.
L’impresa, purtroppo, non riesce. Pantani taglia il traguardo con oltre 13 minuti di ritardo da Richard Virenque, che vinse quella tappa. Il giorno dopo Pantani si ritira, e da quel momento in poi non sarà più al via della corsa francese. Ci ha provato, ha voluto ribaltare una corsa che l’americano stava dominando in lungo e in largo. Alla fine, il “figlio di quell’Armstrong che è andato sulla luna”, vincerà la maglia gialla, ma le imprese di Pantani a Courchevel e sul Ventoux hanno fatto capire a tutti che l’italiano avrebbe potuto battere il texano anche nella lotta alla classifica generale.
Ci sarà ancora molto da scrivere su Marco Pantani. L’inchiesta di Madonna di Campiglio e quella sulla sua morte sono pagine che devono ancora essere scritte. Ma noi, in questo giorno, vogliamo ricordare Marco per le emozioni che ci ha lasciato. “Perché in fondo una salita, è una cosa anche normale, assomiglia un po’ alla vita, devi sempre un po’ lottare”.
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