Mentre alcuni atleti hanno la fortuna di avere una costituzione genetica adatta alle esigenze antropometriche dello sport che praticano o in cui competono, altri sono continuamente in lotta con la bilancia nel tentativo di conformarsi a precise regole corporee. Per questo motivo, si affidano a diete drastiche o digiuni intermittenti nel tentativo di ottenere una rapida perdita di peso ed essere competitivi.
Tale comportamento fallimentare è molto comune e rischia di aumentare proprio in questo periodo dell’anno, dove si ricercano metodi miracolosi per tornare rapidamente in forma dopo gli eccessi delle festività natalizie.
Questo in generale vale per tutti ma il problema dei chili di troppo è ancor più percepito dagli sportivi ed atleti che praticano sport peso-sensibili come il ciclismo, dove si arriva a raggiungere percentuali di grasso corporeo con valori da due a tre volte inferiori a quelli della popolazione generale normalmente attiva, cosa che combacia con un vantaggio competitivo ma non sempre con lo stato di salute.
Per tali motivi essi risultano particolarmente suscettibili a intraprendere pratiche dietetiche per smaltire gli eccessi accumulati oppure per ottenere un “taglio del peso” prima della competizione. Niente di più sbagliato, perché le diete eccessivamente ipocaloriche che promettono risultati veloci non solo non hanno successo, ma fanno addirittura ingrassare. Sembra un paradosso ma non lo è, infatti tutti coloro che seguono una dieta dimagrante raramente mantengono il peso perso nel lungo termine, ma lo recuperano con gli interessi e riprovano di nuovo, un irritante effetto “yo-yo” chiamato anche “ciclicità del peso”.
Il problema è che ad ogni ciclo di recupero del peso non si ritorna mai al punto di partenza, per cui non solo gli sforzi conseguiti risultano vanificati ma si guadagna anche un eccesso di peso e di grasso che nel tempo, moltiplicato per n tentativi di diete dimagranti, porta ad aggravare un preesistente problema di peso o addirittura a crearlo ex novo.
Ma come può una dieta, intesa come rigida limitazione calorica e di vari gruppi alimentari, causare un guadagno di peso nel tempo? Lo stato di semi-digiuno tipico delle diete ipocaloriche attiva nell’organismo meccanismi omeostatici che, durante la rialimentazione, guidano verso l’eccesso di peso e di grasso; in parole semplici, fanno sì che la quantità di peso e grasso recuperato sia maggiore a quello perso con la dieta.
Il Minnesota starvation experiment di Ancel Keys è il più importante degli studi sperimentali che ha valutato gli effetti psicologici, fisici e comportamentali della restrizione alimentare calorica e della successiva rialimentazione su volontari normopeso sani. È sorprendente che, nonostante la perdita di peso, permanga una memoria delle riserve iniziali di grasso e di magro dell’organismo; infatti, nelle fasi di rialimentazione, il meccanismo omeostatico che opera attraverso l’aumento dell’appetito e della fame, scatena una risposta iperfagica compensatoria allo scopo di accelerare il ripristino dei compartimenti corporei iniziali. Quello che succede però è che i compartimenti di grasso e magro non vengono recuperati in maniera sincrona, bensì il grasso viene riacquistato ad un ritmo più veloce rispetto al magro grazie alla soppressione della termogenesi (controllo adiposo-specifico), un segnale adattativo per la sopravvivenza che blocca la sintesi proteica e la deposizione di magro per favorire il recupero di grasso, assicurando in questo modo una maggiore densità di energia in vista di “carestie” future. Per cui maggiore è il grado di impoverimento dei compartimenti di grasso e magro dovuto alla drastica perdita di peso, maggiore è la soppressione della termogenesi e maggiore è il tasso di recupero del grasso rispetto al magro. Soltanto quando le riserve di grasso saranno recuperate al 100% e dunque il nostro organismo sarà “al sicuro” inizierà la ricostituzione del magro e soltanto quando il magro sarà recuperato al 100% si interromperà la risposta iperfagica. Capite come questo meccanismo necessario alla sopravvivenza conferisce la plausibilità biologica per l’eccesso di peso e di grasso post-dieta.
Dunque le diete e la ciclicità del peso non fanno altro che aumentare il rischio per il progresso alla grassezza, predisponendo non solo all’obesità ma anche ad altre conseguenze negative per la salute incluse malattie cardiovascolari, metaboliche e disturbi alimentari. Alla luce di ciò merita fare molta attenzione poiché l’attività sportiva agonistica inizia spesso nella giovane età che è anche quella di esordio più frequente per i disturbi alimentari. Tutt’altra cosa è invece la “dieta” intesa nell’accezione greca del termine e cioè “stile di vita” che significa agire sui comportamenti scorretti, affidarsi a mani esperte per essere educati a mangiare correttamente e praticare attività fisica regolare.
Oltre alle diete ipocaloriche, non meno problematico e inefficace è il digiuno intermittente. Il tempo che non basta mai, le mille cose da fare ogni giorno ed i ritmi stressanti di lavoro sono cause comuni dell’atto di saltare il pasto; esiste però anche il salto del pasto volutamente messo in atto per compensare agli eccessi di pasti precedenti, nell’idea errata che mangiare ad intermittenza consenta di mantenersi in forma senza fare troppe rinunce a tavola. E’ uso comune trascurare la colazione, allenarsi in pausa pranzo, abbandonarsi allo snacking casuale pomeridiano e mangiare eccessivamente a cena. Questi comportamenti sono studiati come fattori che influenzano negativamente il peso corporeo, la qualità del cibo consumato e lo stato di salute.
Saltare il pasto infatti non è una mossa conveniente per il nostro organismo perchè induce le persone a mangiare un contenuto maggiore di calorie al pasto successivo. Inoltre, l’elevato senso di fame percepito potrebbe indurre a fare la scelta sbagliata di consumare fuori pasto svariati snacks, mentre sappiamo bene che i cibi salutari hanno maggiori probabilità di essere consumati all’interno dei pasti tradizionali. Dunque gli individui che saltano i pasti si trovano spesso a fare i conti con un netto impoverimento nutritivo che nel tempo impatta sulla salute, sul peso corporeo e di nuovo sul comportamento alimentare, aumentando il rischio di episodi di alimentazione incontrollata. Ma non è tutto: esiste un orologio biologico interno al nostro organismo che fa sì che moltissime funzioni fisiologiche si ripetano con un ritmo di 24 ore.
Questo ritmo circadiano è innescato da una centralina presente nell’ipotalamo e sincronizzato da fattori ambientali esterni come la luce ed il buio ma anche l’orario e la frequenza dei pasti. Consumare cibo a tarda notte o saltare i pasti di giorno costituiscono un potente desincronizzatore temporale dell’orologio interno. L’effetto “jet lag” che ne deriva può determinare spiacevoli effetti collaterali sulla nostra salute, influenzando la regolazione del metabolismo, la gestione del peso corporeo, il sonno e perfino il microbiota intestinale, promuovendo obesità e un aumentato rischio per malattie croniche.
a cura della Dott.ssa Isabella Lelli biologa nutrizionista – Copyright © Inbici Magazine ©Riproduzione Riservata