La stagione del nostro ciclismo sta entrando nel vivo. Le classiche del Nord sono il volto più rude di questo sport, che già in questi primi sussulti di stagione ha messo in mostra una nuova generazione di fenomeni. Abbiamo analizzato questo inizio di corse con chi conosce molto bene il mondo delle classiche del Nord, Alessandro Ballan che ha messo la sua ruota davanti a tutti in un indimenticabile Giro delle Fiandre del 2007.
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Alessandro, che cosa ti ha lasciato la Gent – Wevelgem?
“Mi è sembrata una delle corse più dure da correre in Belgio. Il vento ha reso la gara più complicata, nervosa e dispendiosa del solito. C’è stata grande battaglia fin dall’inizio e, alla fine, ho visto un super Van Aert che non aveva nulla da dimostrare perché onestamente avevamo visto già alla Tirreno Adriatico di cosa fosse capace. C’è del rammarico perché eravamo ben presenti nella fuga che ha deciso la corsa: un secondo, terzo e quarto posto lasciano un po’ l’amaro in bocca”.
Gli italiani hanno ben figurato ma, a tuo avviso, si poteva provare a forzare un po’ di più per far saltare il banco?
“Quando si arriva in un finale di corsa così duro, anche un corridore veloce può perdere lucidità e spunto. I nostri tre corridori davanti erano tutti abbastanza veloci e potevano giocarsi la vittoria in uno sprint. Si sono trovati davanti un super Van Aert e non era facile. Parlando, magari, fra di loro e andando d’accordo potevano provare ad attaccarlo ed ad anticipare la volata. Ma sono considerazioni difficili da fare in corsa perché è vero che sono tre corridori italiani, che magari sono anche amici, ma correvano per tre team differenti, quindi trovare queste alleanze si fa fatica”.
Milano – Sanremo e Gent Wevelgem sono agli archivi, che traccia hanno lasciato?
“E’ una stagione molto particolare, che arriva dopo un anno di COVID che ha stravolto il calendario. Ci sono poi questi tre fenomeni che alla fine fanno la differenza, ma lo fanno con un modo differente di correre. Fino a qualche anno si prediligeva la strategia dell’attesa e il ciclismo rischiava di diventare noioso: si aspettava sempre il punto cruciale vicino all’arrivo e chi ne aveva andava, e basta. Invece, questi fenomeni (Van Der Poel, Van Aert e Alaphilippe, ndr) sono imprevedibili. Chi si aspettava uno scatto ai 70km dall’arrivo come quello di Van Der Poel? La verità è che questi hanno un modo differente di correre, sono imprevedibili. La grossa differenza che ha il ciclismo di quest’anno è che non è per nulla scontato, mi viene ancora in mente Van Der Poel a Castelfidardo, in tanti avrebbero aspettato un giro e mezzo per scattare, invece lui è partito da lontano. La bellezza è che non c’è solo un corridore forte, imprevedibile, ma ce ne sono tanti. Adesso intanto sta per tornare Evenepoel e non va mai dimenticato Hirschi. C’è questo gruppo di ragazzi giovani che stanno cambiando il modo di correre”.
A tuo avviso questa incertezza legata soprattutto alla Roubaix può togliere certezze nella testa di un corridore, anche e soprattutto in fase di preparazione?
“Sì, soprattutto a quei corridori che puntano alle classiche del Nord, in particolare nella prima parte alla Roubaix, come del resto facevo anche io. Cambia moltissimo, ci sono anche corridori che sono protagonisti quasi solo alla Roubaix. Per questo tipo di corridori vuol dire reimpostrare tutto il programma”.
Il Fiandre è stata un po’ la tua corsa: ma come si prepara una corsa come quella belga e chi vedi favorito quest’anno?
“Personalmente partivo presto, il 20 di novembre ero già in bici, volevo arrivarci con venticinque giornate di gare perché quello era il numero di giornate che mi dava la migliore condizione. Cercavo corse di fondo per preparare il Fiandre, come la Sanremo o la Tirreno. E’ logico che poi partecipavo anche per cercare di vincere, ma mi servivano per fare il fondo in vista della gara. Anche in allenamento cercavo percorsi con strappi secchi e duri simili a quelli che poi mi sarei ritrovato in Belgio. Penso che attualmente sia ancora questo il modo migliore per prepararlo. I favoriti sono i soliti tre: Alaphilippe, Van Aert e Van Der Poel”
La bella vittoria al Catalunya di Sagan può averlo rilanciato in ottica classiche?
“Vincere dopo un periodo un po’ storto per lui vuol dire moltissimo. Stiamo parlando di un altro fenomeno, è logico che si presenterà agguerrito e cattivo per non sottostare all’egenomia di questi tre fenomeni. Ne ha le caratteristiche perché tiene sugli strappi e poi in volata ti esce di ruota gli ultimi 50mt ed è uno dei pochi che oggi in volata può saltare Van Aert”.
E’ esploso il caso Bora Hangrohe e Trek Segrafredo che per via dei protocolli sanitari non potranno prendere parte alle classiche del Nord e forse l’unico che si potrà salvare è proprio Sagan perchè era in Catalunya. Cosa ne pensi di questa situazione e quanto sarà penalizzante non avere queste squadre al via?
“Innanzitutto stiamo parlando di due dei team più forti al mondo, molto forti anche per le gare del Nord, basti pensare a Pedersen che ha vinto la Gent l’anno scorso oppure a Stuyven che ha vinto la Sanremo quest’anno. E’ logico che saranno gare un po’ penalizzanti. Senza un team di supporto a Sagan, lui dovrà fare tutto da solo e questo lo porterà a sprecare un po’ più di energie e sarà penalizzato. Sarà una gara un po’ falsata, la mancanza di un team come la Trek si farà sentire perché è una squadra che può fare la differenza”.
In conclusione: il Mondiale sarà corso su un tracciato molto simile alle classiche: vedi e credi possa essere la consacrazione per questa nuova generazione di fenomeni?
“Sì, potrebbe essere la gara che va a consacrare questi nomi. Bisognerà un po’ vedere il tempo perché a settembre \ ottobre al nord può fare la differenza. Penso che i corridori favoriti saranno questi tre e magari chi uscirà dalla Vuelta con una grande gamba”.
a cura di M.M. ©Riproduzione Riservata-Copyright© InBici Magazine