Ospite della nuova puntata di Sport2Day – Speciale Ciclismo, il Campione Olimpico di Atene 2004 e il due volte Campione del Mondo Paolo Bettini. Un’intervista volta a ripercorrere la carriera del ciclista, segnata da momenti importanti e determinanti.
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Nel corso della sua carriera, infatti, c’è stato un momento specifico in cui ha capito che il percorso era quello giusto. Ecco le sue parole: “Quando ripenso alla mia avventura nel ciclismo, non posso non ripensare alla mia prima Liegi. Non tanto come vittoria, ma come partecipazione. Io ho partecipato a quella gara per la prima volta nel 1998 in supporto di Bartoli, che vinse. E durante il viaggio di ritorno mi ero ripromesso di tornarci per vincerla. Due anni più tardi mi sono trovato io lì davanti a tutti: la sera, dato che a causa dei tanti festeggiamenti avevo perso l’aereo per il ritorno, rimasi in hotel a Bruxelles, in attesa del volo della mattina.
Proprio quella mattina quando mi portarono la rassegna stampa dicendomi ‘Giovane, guarda che hai combinato!’, feci un’analisi interiore in cui iniziai a convincermi che dovevo crederci davvero in ciò che stavo facendo. Mi dissi che se avevo vinto una gara che poteva essere il primo sogno, allora avrei dovuto continuare a provarci, senza pormi limiti, e andare avanti. Con una Liegi vinta alla terza partecipazione, ne sono uscito più consapevole. Quello che ho provato? Beh, a vincere inizi sin da ragazzino, e la felicità, la gioia e la soddisfazione di aver portato a casa il massimo risultato dopo tante fatiche e magari dopo tante sconfitte valgono molto. Quando arrivi a fine carriera e ti guardi indietro noti sempre più le sconfitte delle vittorie, ma se è vero che siamo qui a parlare di vittorie, quelle poche vittorie rispetto alle tante gare fatte lasciano un segno enorme. Come lo lasciano nella mente dei tifosi, si può immaginare cosa lasciano nella mente di chi le fa. Una valanga di emozioni, la domenica della vittoria ti dici ‘Cavolo, ce l’ho fatta veramente’. Il lunedì, sei consapevole di aver fatto qualcosa di diverso”.
Se da una parte Paolo racconta il momento più significativo della sua carriera, dall’altra arriva l’analisi del più delicato e difficile: “Sinceramente i 12 anni di professionismo sono stati molto lineari. Fortunatamente non sono mai stati interrotti, non ho mai avuto problemi di salute che mi hanno limitato o infortuni gravi. Ma per assurdo, l’anno più complicato è stato il 2001: arrivavo da un 2000 in cui avevo vinto la Liegi, in cui avevo fatto la mia prima partecipazione ad un’Olimpiade, dove ero stato inserito in una squadra in cui mi sentivo quasi fuori luogo. Il 2001 stavo bene, mi sentivo carico ma non ho portato a casa alcun risultato. In quel caso ho pensato che fosse solo questione di tempo, ma da febbraio mi sono sbloccato solo la terza domenica di agosto. Praticamente a fine stagione. E’ stato un anno un po’ complesso, che ho superato grazie al mio carattere sempre ottimista. Ma dentro ero molto infastidito. C’ho creduto, soffrendo stando in silenzio“.
E, col senno di poi, Paolo ha fatto bene. Finalmente nel 2004 arriva un’ulteriore riprova del suo talento, quando ad Atene diventa Campione Olimpico. Ma i successi non si chiudono a quell’esperienza: infatti, sia nel 2006 che nel 2007, è Campione del Mondo. Quale di queste tre importanti vittorie è stata la più significativa per lui? “Sicuramente l’Olimpiade. Che per me ha avuto più valore dei Mondiali. Se alla fine della mia carriera pur di avere una medaglia olimpica dovevo rinunciare a qualcosa, avrei rinunciato anche volentieri a un Mondiale. La vittoria alle Olimpiadi ti tira fuori dal tuo mondo, dallo sport che pratichi e ti colloca nel club negli olimpionici. E questo ce lo ricorda quotidianamente il CONI. La cosa più diretta che il 2004 mi fece capire l’importanza dell’Olimpiade era che quando andavo a fare la spesa venivo fermato da tutti, anche da coloro che non erano prettamente appassionati di ciclismo. Dalla casalinga al ragazzino. Perchè le Olimpiadi vengono seguite da tutte coloro che accendono la tv sperando che sia un italiano a vincere“.
Per ogni campione, però, arriva un momento in cui si decide di appendere la propria passione al chiodo. Nel caso di Bettini, si tratta di Varese 2008. “Il sabato, alla vigilia del Mondiale, ho veramente maturato l’idea di smettere. E volevo che la mia ultima apparizione avvenisse con la maglia della Nazionale e non del club. Ero arrivato a ridosso del Mondiale sentendomi letteralmente scaricato dalla squadra, e a settembre alla Vuelta avevo provato il tutto e per tutto per ‘riciclarmi’ in un’altra squadra. In quel momento ho capito che avrei dovuto smettere di riciclarmi. O di farmi sfruttare. La domenica, con l’ultima gara, ho salutato tutti“.
Il 2021 per l’Italia è stato un bell’anno. Eppure, c’è qualcosa che manca: una vittoria mondiale in linea. “Il Mondiale è una corsa molto difficile, perchè alla fine gareggia una squadra che non esiste, composta da avversari. Quando giochi un Mondiale devi esprimere il meglio in modo singolare. Le altre Nazionali, negli altri sport, è un qualcosa di molto più intrigato. Nel ciclismo, il Mondiale è qualcosa in cui si lotta tutti insieme ma solo uno vince. E’ questo il problema. E il Mondiale non è per tutti, per tante situazioni. Ma l’Italia c’è e può vincere il Mondiale, Trentin ne è la dimostrazione.
Daniele Bennati è la persona più giusta per guidare la Nazionale: molto equilibrato e tranquillo, è ancora molto corridore e atleta, conosce bene gli atleti in gruppo, e questo è un tassello molto importante e per niente scontato. Daniele è nel posto giusto, ha corso tanti Mondiali, vestito molte volte la maglia azzurra e ha sempre lavorato in maniera egregia e perfetta. Deve far capire ai ragazzi i suoi importanti concetti, così potrà portare a casa grandi risultati“.
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