L’avventura nel mondo bike di Davide Calvi, classe ’95 di Treviglio, parte nel 2003 quando – dopo un’infanzia trascorsa a tirar calci ad un pallone – il padre lo porta con sé a vedere l’ultima tappa del giro d’Italia a Milano.
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Lì, da dietro le transenne, scorge una sagoma strana, con la pelata lucida, le orecchie “a vela” ed uno stuolo di cameraman che lo insegue invano. E’ Marco Pantani. Il Pirata passa vicino al pubblico, si sfila la bandana e la porge proprio a lui.
Quel gesto per Davide sarà la folgorazione sulla via di Damasco: non solo un prezioso souvenir, ma la sacralità di un momento che gli indica una rotta, quasi una missione.
E’ in quell’istante, infatti, che si appassiona al mondo del ciclismo e, in particolare, a quegli uomini in divisa che, con cacciavite e chiavi inglesi in mano, con la precisione certosina dei chirurghi, con un semplice tocco – a volte energico e a volte felpato – mettono a punto quelle meravigliose biciclette.
Prima, però, prova la scalata al grande ciclismo. Da giovane vince pure tanto, ma si ferma alla categoria Under 23. Con tante cose da raccontare, ma zero rimpianti: “La carriera agonistica – dice – sinceramente non mi manca. Il mondo del ciclismo, a certi livelli, non è per niente facile. Se vuoi passare nel professionismo devi avere una marcia in più, quella marcia che probabilmente io non avevo. Ho comunque avuto la fortuna di correre in squadre di un certo spessore, affiancato da compagni con grandi doti, come il mio amico Filippo Ganna, e da altrettanto importanti direttori sportivi che hanno saputo spronarmi nei momenti difficili”.
Oggi sei rimasto nel mondo del ciclismo come meccanico: cosa è cambiato?
“Sono cambiate le mie mansioni e le mie responsabilità, anche se le esperienze fatte da corridore mi sono state preziose. Oggi, come meccanico, devo garantire che il mezzo sia affidabile al 110%, ascoltando anche le indicazioni dei corridori. Con loro mi confronto quotidianamente su piccoli dettagli, come le misure del manubrio, le altezze anche minime delle selle e cosi via, in modo da garantire, almeno sul piano meccanico, una performance perfetta”.
Qual è, al di là della vita professionale, il tuo rapporto con i corridori?
“Grazie alla mia giovane età, mi sento molto vicino ai corridori e per questo riesco generalmente ad instaurare un bel rapporto con loro, tanto che si fidano ciecamente del mio lavoro. La tecnologia ogni giorno fa passi da gigante, sia sulle biciclette, sia sui prodotti da utilizzare per la manutenzione, tanto che nelle trasferte ogni meccanico non deve tralasciare niente. Io nella mia valigetta utensili metto sempre tutto, semmai mi dimentico puntualmente rasoio e spazzolino…”.
Ci racconti, durante le gare, una tua giornata tipo?
“All’inizio di ogni competizione, il mio compito è quello di controllare minuziosamente tutte le parti meccaniche delle biciclette di ogni atleta, garantendo la massima efficacia e la funzionalità di ogni componente. Faccio questo e devo farlo nel miglior modo possibile, senza alcuna possibilità di errore”.
La corsa più temuta in officina?
“Mah, una delle gare più stimolanti e ricca di tensioni è il Giro delle Fiandre, “l’Inferno del nord”: è un’esperienza da vivere tutta d’un fiato, ricca di colpi di scena e che, viste le sollecitazioni del mezzo, impone anche a noi meccanici un’attenzione particolare”.
La tua “gavetta” l’hai fatta nel team UAE: quanto è stato d’aiuto lavorare in un top team?
“Direi importantissimo. Il mio esordio nel mondo del professionismo come meccanico è stato il Giro di Vallonia: in quella trasferta ho conosciuto grandi meccanici e ho imparato più di quanto potessi immaginare. Lì, la tensione prima di ogni gara, la si taglia col coltello, ma grazie alla loro professionalità mi sono subito sentito parte del team, tanto da poter salire subito in ammiraglia”.
Il tuo lavoro va oltre la competizione: come programmi la tua settimana?
“Sì, per mia fortuna, il lavoro di meccanico di biciclette non si conclude al termine di ogni competizione, ma continua anche in settimana. Io, ad esempio, lavoro negli stabilimenti Bianchi di Treviglio. Qui ho la possibilità di continuare ad imparare per poi mettere le mie conoscenze al servizio dei team a cui dedico il mio tempo nei fine settimana. Da tre anni collaboro anche con Vittoria per il servizio di cambio ruote nelle gare. Vittoria è un’azienda che cura molto la precisione e la competenza dei suoi team, offrendo cosi l’immagine di una ditta seria e capace”.
Quai sono gli obiettivi per il futuro?
“Al giorno d’oggi, quasi tutti i team gradiscono la presenza di giovani meccanici volenterosi e capaci: con la mia poca esperienza, posso però dire che anche le squadre straniere vedono di buon occhio le capacità dei meccanici italiani, tanto da chiederci consigli e accorgimenti nei momenti pre e post gara. Questi momenti sono preziosi per la loro intensità, non soltanto dal punto di vista professionale ma anche – e soprattutto – personale: si creano amicizie, nascono e crescono rapporti di fiducia e supporto. Insomma, si va oltre l’officina e si cresce come uomini”.
a cura di Leonardo Serra ©Riproduzione Riservata-Copyright© InBici Magazine