Ci sono campioni, corridori, sportivi e poi… ci sono le leggende. Atleti che, benché non siano più tra noi, restano immortali perché le loro imprese, alimentate dal braciere della memoria, vanno oltre il tempo e le generazioni.
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Uno di questi è senza dubbio Fausto Coppi, il Campionissimo.
Sarebbe banale, per raccontarlo, ripercorrere il suo palmares inifinito. Molto meglio tratteggiarne un ritratto fedele dalle parole di chi, anche solo per poco, l’ha conosciuto, abbracciato, vissuto: suo figlio Faustino Coppi.
Signor Coppi, recentemente (il 2 gennaio) ricorreva l’anniversario della scomparsa di suo papà. Che ricordi conserva e quanto affetto sente ancora da parte degli appassionati 61 anni dopo?
“L’affetto, nonostante il tempo che passa, è sempre crescente. Stiamo vivendo un’annata un po’ particolare e dunque, a differenza degli anni scorsi, non è stato possibile accogliere molta gente per rendere omaggio al ricordo di mio papà. Eravamo in pochi a Castellania, ma è stato comunque un momento emozionante anche se più intimo e raccolto. I ricordi che ho di papà sono quelli di un bambino, perché sono flash di vita casalinga: i suoi saluti quando rientrava dalle corse o quando mangiavamo insieme. Sono le memorie un po’ sbiadite di un bambino legate al vivere quotidiano”.
Essere il figlio di Fausto Coppi, portare il suo nome, non dev’essere stato semplice. Sua mamma come l’ha protetta da tutta questa attenzione mediatica?
“Da quando è mancato papà mi è sempre stata vicina, anche se è stato difficile anche per lei perché la sua vita è cambiata da un momento all’altro. Mi ha fatto da padre e da madre; sono vissuto sempre vicino a lei, mi raccontava tutti i giorni aneddoti sulla vita di papà, di quando lo accompagnava alle corse e di tanti episodi di vita vissuta insieme a lui. E’ sempre stato un racconto continuo di quei pochi anni che ha potuto vivere insieme a mio padre”.
Cosa ha significato per lei essere il figlio del campionissimo e cosa significa ancora oggi?
“Sono vissuto sempre con questo cognome famoso, con questo ricordo costante delle persone intorno a me che, ancora oggi, mi raccontano aneddoti su mio padre. In tanti mi raccontano episodi di vita vissuta, mi mostrano i ritagli dei giornali, persone che hanno vissuto o, magari, anche solo letto delle sue gesta. Il comune denominatore è sempre questo alone di affetto che mi circonda e che credo, a questo punto, mi porterò fino alla fine dei miei giorni”.
Parlando di ciclismo e di emozioni, ha mai visto un potenziale erede di suo padre?
“Paragoni nel corso degli anni ne sono stati fatti, sono usciti molti nomi accostati a lui. A livello emozionale, da persona adulta, ho seguito alcuni Giri d’Italia e, se devo fare un nome, dico Pantani. Per come l’ho conosciuto io, era una persona molto buona e sincera trascinata un po’ dalle circostanze. Ancora oggi è molto amato, ma se Marco avesse potuto correre di più avrebbe lasciato un’impronta ancora più profonda”.
E’ nella mente di tutti gli sportivi l’immagine storica del passaggio della borraccia tra Fausto e Bartali. Facendo un discorso più ad ampio raggio, crede che oggi nello sport manchi quella solidarietà che c’era ai tempi?
“Sicuramente sì. Anche allora c’era grande battaglia come era normale che fosse, ma c’era anche un senso di solidarietà più autentico. Era un mondo diverso, c’erano altri valori. Si era abituati ad avere di meno e a dare un po’ di più. Anche il ciclismo ad alti livelli era un più ‘casalingo’, distante anni luce da quello di oggi governato dalle grandi aziende e dalle grandi multinazionali. Il legame che mio padre aveva con chi correva con lui era molto forte, erano tutte brave persone che poi negli anni sono rimaste legate anche alla mia famiglia. Tutti ex ciclisti, ex massaggiatori, ex meccanici che sono rimaste ‘devote’ alla mia famiglia, che ci hanno manifestato sempre vicinanza ed amicizia, ancora riconoscenti per tutto ciò che mio padre aveva fatto per loro. In quesiti anni ci hanno dato grande affetto senza mai pretendere nulla in cambio”.
In conclusione: che ciclismo è quello odierno?
“Seguo le gare e il ciclismo mi piace sempre. Quando posso vado anche a seguire alcune tappe del Giro. E’ un mondo affascinante ma, rispetto a qualche anno fa, è cambiato tutto. Adesso si cerca la perfezione in tutto, i ciclisti si preparano solo ad una grande corsa all’anno, mentre ai tempi di mio padre si correva molto di più. E’ cambiato il mondo, non ci bastano più le cose semplici, andiamo a cercare quello che è più complicato, affidandoci alle tecnologia e snaturando un po’ l’anima più verace dello sport. Anche lo stesso ciclismo è diventato uno sport un po’ più ‘elitario’, si cerca sempre il top dimenticandosi che su quella sella, oggi come ieri, a pedalare c’è sempre un uomo”.
a cura di M.M. Copyright© Inbici Magazine ©Riproduzione Riservata