“Caro ciclismo, stai sbagliando“. La cartolina, lucida ed impietosa, è firmata Graziano Beltrami, uno degli imprenditori italiani più importanti della bike-economy.
Mentre alcuni direttori sportivi nei giorni scorsi, hanno alzato lo scudo a difesa dei ciclisti “che, in quanto professionisti, devono avere il diritto di allenarsi come qualsiasi altro lavoratore”, Beltrami, che ha la virtù innata di preoccuparsi anche del “dopo”, la pensa in maniera diametralmente opposta: “Mi pare assodato che il ciclismo – spiega Beltrami – sia ormai l’unico sport che ancora non ha capito la situazione eccezionale che stiamo vivendo.
Mentre tutti gli altri atleti professionisti mantengono un cauto low-profile, lanciando inviti mediatici a restare a casa, i ciclisti continuano ad aggrapparsi ostinatamente all’interpretazione cavillosa del decreto rivendicando il diritto di poter allenarsi su strada. Ora, il punto non è che cosa dice la norma, che per altro giorno dopo giorno va verso limitazioni sempre più stringenti; il punto è la responsabilità ed il senso di realismo che, per il bene della categoria, sarebbe sempre doveroso mantenere in questi delicati frangenti”.
Beltrami si dice preoccupato, in particolare, per il “grave danno d’immagine” che rischia l’intera categoria dei ciclisti: “Abbiamo speso tempo e risorse per arrivare ad un armistizio nei rapporti storicamente tesi fra ciclisti ed automobilisti, lavorando soprattutto tra le nuove generazioni con campagne di sensibilizzazione per mantenere sulla strada i comportamenti più corretti e adesso vanifichiamo anni di lavoro con atteggiamenti ostili ed impopolari che, sul piano della comunicazione, stanno trasformando il ciclismo nello sport più detestato del momento. Non è questa – secondo Beltrami – la strada più intelligente. Se, al di là della norma, l’invito è quello di restare a casa, non si può sfidare la pazienza degli italiani andando provocatoriamente controcorrente”.
“Per altro – prosegue – per quale gara si starebbero allenando i nostri ciclisti professionisti? I calendari sono stati stravolti e, sul futuro, regna la più totale incertezza. Dunque, questa ‘improrogabile esigenza di allenarsi’ mi pare quantomeno discutibile. Conosco molti direttori sportivi e non voglio assolutamente entrare in conflitto con loro, però mai come in questa fase è importante tener conto anche delle conseguenze di certi atteggiamenti. Se i ciclisti, mentre tutta Italia è sigillata in casa, si ostinano a fare come gli pare, con quale speranza potremo rivolgerci in futuro al mondo delle aziende per chiedere una sponsorizzazione? Se il ciclista non dimostra senso di responsabilità, allineandosi diligentemente alle limitazioni che il momento impone, temo, non sarà facile neppure andare a chiedere le 50 euro di contributo per la gara di paese”.
L’ultima stoccata di Beltrami è all’indirizzo degli organi federali “che – dice – in questa fase mantengono un silenzio assordante e, anziché intervenire per dettare la linea, preferiscono lasciare i ciclisti in un’anarchia pericolosa. Tra amatori che aggrediscono le forze dell’ordine, che sporgono denuncia per sequestro di persona e professionisti che si lamentano per gli insulti che ricevono sulle strade, non c’è giorno in cui il nostro amatissimo sport non finisca sulla gogna dei social. E’ ora di cambiare radicalmente il modo di comportarsi e di tornare a ragionare, a tutti i livelli, con senso di responsabilità, allineandoci all’atteggiamento delle altre discipline sportive e accettando il fatto che, in certi momenti, il buon senso vale molto di più delle norme”.
a cura di Mario Pugliese – Copyright © iNBiCi magazine
Ma è mai possibile che si debba parlare di tutto questo mentre c’è gente, tanta che muore, gente, tantissimo anche soffre, gente che svolge turni massacranti soffrendo anche emotivamente per l’assenza, che sta diventando cronica, delle risorse necessarie per fornire cure adeguate.
Io questo sproloquiare e cavillare lo chiamo con una sola parola: EGOISMO. E, dimenticavo, sono un ciclista: ho rispolverato i vecchi rulli e bacio il manubrio ogni volta che salgo in bici per la fortuna che ho…
In questo momento l’utilizzo della bici, sia come trasporto sia per attività motoria, andrebbe incentivato, come fanno in tutto il mondo civile..
E invece viene demonizzato chi “irresponsabile” va in bici come fosse esso stesso causa del contagio.
La cosa che mi irrita e trovo ancor più vergognosa è che siano proprio le testate di ciclismo.
Ce ne ricorderemo.
Credo che in un momento così particolarmente difficile per tutti, rinunciare a praticare una attività all’aria aperta ed accontentarsi, si fa per dire, della medesima attività all’interno delle proprie mura domestiche sia utile quanto doveroso. Anzi potremmo dedicare questo piccolo sacrificio a chi in questo momento soffre e rischia di morire in ospedale e a tutti i medici ed infermieri che si fanno il culo per cercare di salvare quante più persone possibile, con turni massacranti e rischi per la propria incolumità. Sarebbe giusto, doveroso e sacrosanto. Andrea Tenconi
Inoltre se tutti leggessimo il decreto, il sito del governo si può leggere una cosa fondamentale, intanto che l’unica misura restrittiva è quella di restare a distanza di più di un metro durante l’attività sportiva, e non esiste nessun divieto. Purtroppo questo è il frutto del famoso passaparola, molti sportivi e cittadini hanno voluto dare un significato alterato del decreto.
Vi ricordo che Interagire con il proprio ambiente attraverso le varie forme di movimento, a tutte le età, contribuisce in modo significativo a preservare lo stato di salute inteso, nell’accezione dell’Organizzazione mondiale della sanità – OMS, come stato di benessere fisico, psichico e sociale. Esiste un legame diretto tra la quantità di attività fisica e la speranza di vita, ragione per cui le popolazioni fisicamente più attive tendono a essere più longeve di quelle inattive.
É per questo che di fatto il governo non ha vietato a tutti gli effetti l’attività fisica, non so se ci arrivate…Invece di demonizzare chi si attiene alle regole, per un ipopatetico buon senso, fareste bene a chiudere il becco. Non per forza dovete farvi portavoce di messaggi moralizzatori. Le questioni legali lasciatele ai legali, quelle di sanità ai sanitari, il marketing agli economisti ed imprenditori e dato che siete esperti di bici tornate a parlare di bici.
Massimiliano hai pienamente ragione … avevo fatto notare anch’io che visto il poco traffico è una occasione persa per i ciclisti di far capire che è molto meglio andare in bici … invece si è creato ancora più ostilità perché alcuni ciclisti hanno deciso che non si deve uscire in bici…
una mattina di marzo mi sveglio e scopro che non posso + andare in bici e tutto ciò per decreto e mi chiedo: ma chi posso contagiare circolando da solo in bici? nessuno ovviamente ,però quelli bravi mi dicono che è per ragioni di sicurezza ….. andare ad intasare i pronto socoorso in sofferenza a causa di una caduta (per altro molto meno probabile del solito dato che il 90% degli automezzi non circola) è dannoso. Bene allora mi convinco resto a casa e mi affaccio alla finestra da dove vedo un andirivieni di auto che parcheggiano entrano dal tabaccaio sotto casa e ne escono con stecche di sigarette e così scopro che andare a rimpinguare la colonia dei 43.000 malati di cancro annuali al polmone invece è lecito. Ma i malati di cancro non hanno problemi polmonari ? non hanno in fase acuta bisogno dei respiratori? sarà forse perchè si pagano il vizio con i soldi ai monopoli di stato? Scusate lo sfogo, data la relativa futilità del problema, ma in una società in cui un tabagista incallito può gridare ‘delenquente’ ad un soggetto che fa sport solo all’aria aperta ,caro Claudio, ‘non andrà tutto bene’.
L’atteggiamento di tutti coloro che, in spregio alle reiterate raccomandazioni di restare a casa, continuano a praticare i loro sport preferiti (e tra questi i ciclisti sono quelli che offrono la massima visibilità perché transitano sulle strade) è quantomeno irresponsabile perché, oltre a contribuire “forse relativamente” alla diffusione del contagio da corona virus, concorrerebbero, in caso di incidente (piuttosto frequente) a gravare ancor più pesantemente sulle strutture sanitarie già al collasso. Proviamo ad immaginare quale sarebbe l’esito di una banale caduta, con conseguenze anche non gravissime tipo la classica lussazione di una clavicola (roba da nulla in tempi normali): intervento dell’ambulanza, trasporto al pronto soccorso, prime cure ed eventuale necessità di ricovero. Avete presente in quale situazione di sovraffollamento si trovano, oggi, gli ospedali? Con quale coraggio potremmo pretendere l’attenzione del personale sanitario alla nostra stupida esigenza di cure? Sono un ciclista amatore ultrasettantenne che si è adeguato a questa situazione di “arresto domiciliare” ed, obtorto collo, ha sospeso ogni attività sportiva, all’aperto limitandosi ad attività indoor (spin-trainer, piccoli attrezzi ginnici). Anche in questo caso, però, cerco di prestare la massima attenzione perché l’incidente domestico è sempre possibile anzi frequente a causa della “presunta” sicurezza ambientale: siamo a casa nostra, cosa ci può mai succedere? D’altra parte bisogna anche continuare a vivere, cerchiamo di farlo con cautela in primis per noi stessi e, di conseguenza, per il rispetto del nostro prossimo soprattutto se si trova già in condizioni di maggior debolezza. Infine non ci resta che l’augurio di scamparla anche questa volta!