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GIRO. IL GIORNO DOPO


L’Etna è ancora nelle gambe e, ringrazio Dio!, oggi la tappa non è una punizione troppo esagerata. Le gambe ancora sono doloranti, la notte è andata così così, mi bruciava la pelle ustionata dall’asfalto.

 

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Se chiudo gli occhi, ho ancora paura, ma il Giro va avanti e mi passerà. Certo, è stato un bel volo, non so dire di quanti metri, e nemmeno voglio contarli. Meno male che il casco era ben saldo sulla testa. Mi hanno inchiodato davanti, non ho potuto evitarlo. A pensare alle possibilità, continuo a credere nei miracoli.

Mancavano cinquanta chilometri al traguardo, non ho potuto nemmeno essere utile alla squadra in quel momento delicato. Arrivare è stato un calvario. Avrei voluto sorridere dalla fatica, ieri, in quella che era la terza giornata nella mia terra. Invece, solo dolore.

Dicono che il giorno peggiore è il secondo, quando le botte si assestano e il corpo si rende conto che qualcosa non funziona come dovrebbe. In effetti è così. Oggi è terribile. Stringo i denti, cercando di distrarre i pensieri il più possibile. Oggi tutti per Bonni, dobbiamo portarlo davanti perché può vincere e se lo merita anche.

Tutto va secondo i piani, ma ad un certo punto mi comunicano che Bonifazio ha forato, in un punto in cui il gruppo mena, e anche tanto. La sfortuna ci vede fin troppo, a volte. Lo aspetto, non possiamo buttare al vento tutto il lavoro. Faccio finta di non avere il dolore che mi graffia dappertutto. Cerco di metterlo a tacere. La coda del gruppo è là davanti, si avvicina sempre di più. E’ apnea per qualche chilometro, ma finalmente riusciamo a rientrare. Posso finalmente respirare. Mi accompagnano il bruciore e le fasciature per questi ultimi chilometri. Passo lo striscione d’arrivo, tiro un sospiro, mi asciugo il sudore che cola. Domani sarà ancora guerra, ma chiudo gli occhi di nuovo e mi ripeto che sarà migliore di oggi.

Giovanni Visconti ieri è arrivato in cima all’Etna con la maglietta strappata e diverse ferite sul corpo. Si sa, il ciclismo è un contratto, dove ti viene chiaramente esplicitato che “ehi, amico, sappi che cadrai e ti farai male”. E capita, purtroppo spesso. Giovanni ieri non ha potuto evitare il cozzo con un’ammiraglia, mentre pedalava a 60 km/h. Stamattina è partito da Pizzo con cerotti e fasciature, ha aiutato Bonifazio a rientrare in gruppo dopi una foratura.

Il ciclismo non è per tutti, è solo per chi ha imparato che la sofferenza non è solo una parola vuota in un vocabolario.

A cura di Giulia Scala per InBici Magazine

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