“Questa squadra è qualcosa che ho inseguito con tutte le forze, come un corridore scappato via e in fuga con troppo vantaggio per poter aspettare. Non è una squadra, è un progetto globale. Spada? Illuminato. Pedranzini? Un signore. Alberto Contador? Il mio fratellino. Fran Contador? Il nostro equilibrio”.
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E alla fine è un po’ come quando sei ai piedi di quella salita che ti dirà la verità, che ti dirà se hai vinto o hai perso. Un sospiro per far scendere un po’ i battiti, uno sguardo d’intesa ai tuoi compagni di squadra e uno di sfida ai tuoi avversari, e poi inizia quella personalissima sfida con l’asfalto, con la montagna e con la fatica.
Alla fine è un po’ così. Essere lì, esattamente in quel posto ed esattamente in quel momento, è già di per sé qualcosa di bellissimo: perché per arrivarci si è pedalato tanto, si è fatta fatica, si sono macinati chilometri. Eppure, tutto è ancora da scrivere.
Ivan Basso lo sa, lo sa bene: adesso che il sogno di costruire una squadra “come piace a lui” si è realizzato, adesso che tutti possono vedere quello che lui aveva in testa da anni, adesso che il suo team ha un nome e dei colori. “Questo – dice – è un punto d’arrivo, ma è anche un punto di partenza : nel ciclismo è così, sempre. Quando vinci pensi subito a cosa fare per rivincere ancora, quando perdi immagini quello che servirà per recuperare immediatamente. Un ciclista non è mai fermo, e nemmeno un uomo: prendete quello che sto facendo ora, per esempio. In un mondo come questo che corre sempre e corre veloce, non c’è spazio per i ripensamenti: perché mentre tu stai pensando come fare, qualcun altro lo sta facendo”.
Evoluzione: ecco la parola sulla quale Ivan alza il tono di voce quasi a voler sottolineare qualcosa. “Io per una vita ho fatto solo una cosa: ho corso in bicicletta. Poi, un giorno ho smesso e in quel momento c’è poco da fare: o ti inventi qualcosa di nuovo, oppure ti limiti a raccontare quello che hai fatto prima a gente che finge di essere interessata ad ascoltarti. Io non ho mai amato ascoltare troppe volte la stessa storia raccontata dal solito ex sportivo. Per carità, ascoltare una bella storia è sempre qualcosa che arricchisce: però se non riparti, se non fai qualcos’altro, alla fine è sempre la stessa storia”.
E allora: “Io sono ammirato dallo sportivo che si reinventa, che si mette in gioco, che scommette, che alla fine della sua carriera prende una nuova strada. Che non è necessariamente legata a quel che faceva prima, ma che da quel che faceva prima prende ispirazione e sfrutta l’esperienza”.
Quindi, ecco la Eolo-Kometa. Eccola qui. Che cos’è? “Qualcosa che ho inseguito con tutte le forze, come un corridore scappato via e in fuga con troppo vantaggio per poter aspettare. Non è una squadra, è un progetto globale che unisce aziende diverse, che fa impresa coinvolgendo 70 persone, che fa girare milioni di euro. E che parte con una forza diversa: perché è una squadra all’interno di un’azienda, ed è un’azienda all’interno di una squadra. Una filosofia che abbiamo intrapreso negli anni scorsi con Kometa e che ora con l’arrivo in testa al gruppo di Eolo portiamo avanti con ancora più forza”.
In questi anni passati a immaginare quello che ora è nato, cos’ha pensato Ivan Basso?
“Mi sono permesso di sognare: a volte i sogni si realizzano, altre volte no. Ma è importante il momento in cui il sogno diventa idea, perché l’idea si sviluppa nella tua testa, gli altri non la vedono ma tu la macini e la lavori: la fai crescere, la proponi agli altri, ti aspetti che tutti ti seguano perché per te quella è l’idea più bella del mondo. Poi, succede che quell’idea da “tua” diventa “nostra”. E quel momento, è bellissimo: fidatevi”.
Ivan se la coccola, questa squadra: bella, bella da innamorarsi. “Se me la immaginavo così? No, è molto più bella rispetto a come la immaginavo…perché è nata una cosa inaspettata. E’ nata la condivisione totale con chi ha deciso di finanziare quest’idea. Ancora più bella perché si è circondata di capacità, di managerialità: chi ha l’idea deve avere la capacità di circondarsi di persone valide e di metterle ognuno al posto giusto”.
Un nome: Luca Spada. “Un imprenditore illuminato, capace di fare nella sua vita cose che nessuno aveva ancora osato pensare. E se presenti l’idea giusta a un uomo così, ci sono buone probabilità che lui ti segua. E poi, Eolo e il ciclismo sembrano fatti l’uno per l’altro: un connubio perfetto, un binomio che può davvero scrivere la storia di questo sport”.
Un altro nome: Giacomo Pedranzini. “Un uomo d’onore, una persona che se dice una cosa poi quella cosa la fa. Se questa squadra esiste, se ha fatto questo salto di qualità, il merito è suo che negli ultimi tre anni ha supportato e sopportato tutti e tutto, affrontando e superando difficoltà reali. E poi, c’è una cosa che mi fa davvero piacere: il rapporto che si è sviluppato tra Pedranzini e Spada, c’è una stima reciproca nata da visioni comuni”.
Continuiamo con l’ufficio nomi. Alberto Contador.
“Il mio fratellino, uno che quando correva si dimenticava di essere il più forte di tutti e correva come se fosse l’ultimo dei gregari. Ora è stato bravissimo a rimettersi in gioco, a reinventarsi: tra me e lui c’è una eterna sintonia, non esiste mai l’io ma esiste solo il noi e quando qualcuno è in difficoltà l’altro l’aiuta come si fa tra compagni di squadra. Per i nostri corridori è un mito e lui li guida con l’esempio, ogni giorno”.
Ultimo nome: Fran Contador. “L’ideale punto di raccordo tra me e Alberto, la capacità di mettere ordine nella nostra euforia, la forza di farci mettere il rapporto agile quando serve mentre noi pedaleremmo sempre con il rapporto duro. Lui è il nostro equilibrio”.
Corridori. Come li avete scelti?
“Abbiamo preso gente che avesse voglia di venire a correre da noi, che non badasse solo allo stipendio ma fosse spinto da valori diversi. Abbiamo preso chi ha capito una cosa: chi correrà in questa squadra, andrà via come un corridore diverso. Offriamo uno stipendio emozionale, fatto della nostra volontà di far stare bene tutti quelli che stanno con noi. Poi, ovvio, abbiamo guardato anche alle caratteristiche di ognuno: tre corridori esperti e pronti a vincere, qualche atleta di categoria che ha bisogno di rilanciarsi, un gruppo di giovani ad aiutare e a inventare qualche sorpresa. Vogliamo vincere, e vogliamo farlo subito: in questa categoria non si corre per crescere, si corre per vincere”.
Cosa si aspetta Ivan dai suoi corridori?
“L’impegno totale e completo? Sì, ma sarebbe scontato dirlo: è il loro lavoro. Mi aspetto dei corridori che vivano da squadra, da squadra che vuole vincere che quando perderà sarà perché qualcuno è stato più bravo di noi. Mi aspetto che si sentano addosso i colori della nostra maglia, sempre. Mi aspetto che grazie a loro i tifosi riconoscano subito la nostra maglia nel gruppo che passa: eccoli, quelli sono della Eolo-Kometa, e non mollano mai”.
E cosa non deve mai fare un suo corridore:
“Non deve mai essere distruttivo, ma propositivo. I problemi si risolvono in squadra, non fuori: nelle famiglie migliori, funziona così”.
E allora, Ivan, ora chiede qualcosa al 2021:
“Sembra banale, ma chiedo la salute per tutto il mondo. Chiedo che nella mia squadra ci sia sempre spirito di sacrificio e voglia di stringere i denti per il compagno prima che per se stesso. Siamo davanti, tutti, a un’occasione enorme: sarà il nostro atteggiamento che dirà se quest’occasione l’avremo sfruttata, o se l’avremo lasciata scappare”.
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