Si è appena chiuso il sipario, nel vero senso del termine, della Corsa Rosa 2022. Sul podio all’interno dell’Arena di Verona, Jai Hindley ha portato se stesso ed il ciclismo australiano nella storia del Giro d’Italia, diventando il primo corridore oceanico ad aggiudicarselo. Andiamo però ad analizzare cosa ci è piaciuto e cosa non ci è piaciuto di questo 105° Giro d’Italia.
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Partiamo proprio da chi ha portato a casa il Trofeo Senza Fine: Jai Hindley ha 26 anni, è nativo di Perth ed ha l’Italia nel cuore. Non solo perché è salito sul podio della Corsa Rosa per la seconda volta in carriera (nel 2020 fu secondo alle spalle di Tao Geoghegan Hart, che lo superò proprio al termine della cronometro conclusiva a Milano), ma perché da noi è cresciuto ciclisticamente, in Abruzzo. E da Under 23 è stato anche capace di vincere una prestigiosissima corsa quale è il Gran premio di Capodarco. Ci vorrà del tempo per rendersi conto dell’impresa che Jai ha realizzato in queste tre settimane insieme alla Bora – Hansgrohe, ma intanto l’Australia ha un nome forte per i Grandi Giri nel presente e nel futuro.
Mathieu Van der Poel ha onorato il Giro dal primo all’ultimo chilometro: vincitore della prima tappa a Visegrad e Maglia Rosa inaugurale sfiorando il bis nella crono a Budapest, il campione olandese è stato prima protagonista di intensi duelli con Biniam Girmay e quando l’eritreo ha portato a casa la storica vittoria di tappa a Jesi MVDP è stato il primo a complimentarsi, prima con il pollice alzato sotto l’arrivo e poi con un sincero abbraccio. Poi, dopo lo sfortunato ritiro di Girmay ha deciso di provarci quasi tutti i giorni andando in fuga, e per pochissimo ha mancato il bis. A Lavarone avrebbe fatto un colpo da cineteca se non fosse stato raggiunto da uno scatenato Buitrago. Sulle salite ha poi incantato il pubblico anche grazie alle sue impennate da funambolo. Grazie Mathieu!
La favola di Juanpe Lopez, spagnolo della Trek-Segafredo, sembrava non aver fine. Ha resistito in Maglia Rosa dall’Etna a Torino, dieci giorni in cui l’andaluso ha dimostrato carattere, generosità e umanità. Dopo aver perso il simbolo del primato in Piemonte, qualcuno poteva pensare che Lopez avrebbe mollato il colpo, ma alla fine ha ottenuto la top ten e si è preso anche la Classifica Giovani, cedutagli da uno sfortunato Joao Almeida, fermato dalla positività al Covid.
Il pubblico, numeroso dal primo all’ultimo chilometro. L’Ungheria ha atteso tanto la grande festa rosa ed è stata ripagata: il Covid aveva fermato tutto nel 2020 e si è dovuti arrivare al 2022, quando i tifosi magiari hanno invaso letteralmente le loro strade fin dalla presentazione delle squadre. La cronometro di Budapest è stata un vero show televisivo per gli spettatori a bordo strada, che è poi proseguito in Italia e con il transito in Slovenia nella tappa di venerdì. La Pescara-Jesi, la Santena – Torino, i passaggi da Ca’ del Poggio e sulle grandi salite sono stati momenti indimenticabili.
Le volate di questo Giro sono state tutte bellissime: i velocisti si sono dati battaglia ed Arnaud Demare ha meritatamente vinto la Maglia Ciclamino. Certo, ci sarebbe stata battaglia nel caso che Girmay fosse riuscito a proseguire ma con tre vittorie di tappa arrivate dopo una stagione iniziata senza aver lasciato il segno significa molto per il morale dello sprinter transalpino. Ed anche Mark Cavendish ha piazzato una stoccata vincente delle sue, nell’ultima tappa in Ungheria.
Se il movimento ciclistico maschile italiano prima del Giro ha fatto fatica, ora si può dire che ci siamo rialzati. Cinque vittorie di tappa con altrettanti corridori giovani e due veterani nella top 10 in classifica generale sono un bottino che ci fa sorridere parecchio. Alberto Dainese, Stefano Oldani, Giulio Ciccone, Alessandro Covi e Matteo Sobrero sono stati capaci di realizzare il loro sogno personale: l’abruzzese della Trek-Segafredo a Cogne rispetto ai suoi colleghi ha avuto modo di ottenere una sorta di rivincita in un momento non facile della carriera, gli altri quattro azzurri hanno invece conquistato la prima vittoria in un grande Giro e il loro futuro gli può sorridere.
Il più grande dei ringraziamenti va a Vincenzo Nibali e Domenico Pozzovivo: il siciliano a Messina ha annunciato la fine della carriera al termine della stagione e lo ha onorato portandosi a casa un quarto posto assoluto che vale molto. E chissà come sarebbe andata se sull’Etna non si fosse perso. L’eterno Mimmo è uno che non molla mai, anche se nella terza settimana ha un po’ pagato le fatiche dei giorni precedenti. Ad inizio stagione era senza squadra, lo ha chiamato la Intermarché che ha fatto un Giro da 10 e lode, anche grazie alle vittorie di tappa da parte di Girmay ed Hirt. E il ceco poi ha concluso sesto a pochi secondi da Nibali e Pello Bilbao.
Se vogliamo parlare dei contro, possiamo dire che è stato un Giro bloccato, seppur ben disegnato: le numerose fughe hanno messo da parte la battaglia degli uomini di classifica, quasi disinteressati nel vincere una tappa. C’è riuscito Hindley sul Blockhaus, ma sarebbe stato bello vedere gente come Carapaz o Landa provarci. Giustifichiamo la cosa visto che sono mancati Miguel Angel Lopez e Tom Dumoulin, ed in seguito anche Joao Almeida, Romain Bardet e Simon Yates. Il britannico della BikeExchange si è preso subito la cronometro a Budapest e poi i sogni di gloria sono svaniti per una caduta nel tappone in Abruzzo. L’impresa a Torino lo ha poi rasserenato ma alla fine anche lui ha detto stop. A volte la noia a preso il sopravvento, come nella frazione di Santuario di Castelmonte. Sarebbe stato forse giusto inserire una cronometro individuale lunga e per specialisti nella seconda settimana? Chissà, magari sulle montagne conclusive avremmo visto più agonismo e lotta tra i big e non solo per vincere questo Giro ma anche per puntare alle vittorie di tappa.
Molte squadre hanno dimostrato disinteresse o hanno avuto poca fortuna in questo Giro. La Israel – Premier Tech e la Movistar non si sono praticamente mai viste: Giacomo Nizzolo non ha brillato nelle volate e Alejandro Valverde era sempre nascosto. La Lotto – Soudal e la Quickstep si sono salvate grazie alle vittorie di De Gendt e Cavendish, infine il Wolfpack può essere anche soddisfatto della prestazione di Davide Ballerini, in fuga anche ieri sulle Dolomiti.
Questo è stato un Giro d’Italia corso a ritmi forsennati a medie di velocità spesso folli e con lunghi trasferimenti che avranno sicuramente condizionato le azioni in gara. Agonisticamente ci abbiamo perso qualcosa come spettacolo, ma da contraltare sicuramente è stata una edizione incerta fino all’ultima, grande montagna. La Marmolada, oltre ad essere la “Regina delle Dolomiti”, è stato il giudice supremo del Giro 105.
A cura di Andrea Giorgini Copyright© InBici Magazine ©Riproduzione Riservata