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Giro, i petardi del Cannibale e gli acuti (promettenti) degli italiani


Ed eccoci all’edizione 107 del Giro d’Italia, alla tanto attesa partenza, che tutti aspettavano col botto, convinti anche che l’artefice della deflagrazione sarebbe stato il “cannibale” dei nostri giorni, Pogacar, per la prima volta alla Corsa Rosa, e a detta di tutti l’uomo da battere per la classifica generale. Ma si sa, i pronostici nello sport, sono anche fatti per non essere rispettati; e allora se metti insieme una tappa scoppiettante in particolare nella seconda metà, a partire dall’ascensione al colle di Superga, uno strappo breve ma particolarmente duro quale quello di San Vito percorso due volte, l’ultima a soli 3 km dall’arrivo, e una tattica forse un po’ troppo azzardata della UAE Team Emirates, ne viene fuori che forse il giovane sloveno oggi abbia al massimo fatto esplodere un innocuo petardo.

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Almeno per oggi, la scena – e che scena (tappa e maglia rosa!) -, se l’è presa tutta in modo strameritato, il campione nazionale ecuadoriano Jhonatan Narvaez, capace di resistere nel terribile chilometro abbondante con pendenze in doppia cifra di San Vito (non conteggiato per la brevità come gran premio della montagna), alle impetuose, ripetute fiammate dell’altro campione nazionale, sloveno in questo caso, e addirittura di finirgli davanti, come l’ottimo Schachman del resto, sulla linea del traguardo.

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Allora forse meglio così, per diverse ragioni, due almeno. Primo, perché quella di oggi è una nuova bella pagina di ciclismo se si pensa che solo un mese e mezzo fa, l’autore di questa impresa cadeva rovinosamente in una delle classiche del nord (Gand-Wevelgem), riportando tra l’altro conseguenze tutt’altro che banali, quali una commozione cerebrale. Secondo, perché mentre Pogacar avrà tutto il tempo di rifarsi (a partire dal primo arrivo in salita di domani al Santuario di Oropa), indubbiamente per lo spettacolo, per la suspanse, sia molto meglio rispetto al copione prestabilito e monotono largamente previsto, intravedere un esito più incerto e addirittura insospettabile, come la prima tappa parrebbe invece voler suggerire.

Una prima tappa dunque bella, emozionante, avvincente, particolarmente gratificante per gli abitanti del piccolo stato del Sud America tagliato in due dalla linea dell’Equatore, ma molto anche per noi italiani. Sono infatti arrivati segnali belli, incoraggianti, e decisamente in controtendenza rispetto a quanto si dice del movimento maschile su strada. E allora se il buon giorno si vede dal mattino, le prestazioni del veterano Caruso, dei virgulti Pellizzari e Tiberi, e poi di Conci con lo splendido anche dal punto di vista tattico spunto nel finale che avrebbe meritato miglior sorte, non possono che farci ben sperare, e magari anche un po’ iniziare a farci sognare.

A cura di Rocco Carella
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