L’abitudine di calcolare e riportare i chilometri fatti quotidianamente era molto usata una decina di anni fa dai ciclisti di tutte le categorie ed età.
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Oggi la tecnologia è venuta in soccorso agli atleti (specie ai professionisti) con software di organizzazione dei report di gare e allenamenti, tipo i cardiofrequenzimetri e i misuratori di potenza espressa in watt.
Ma un punto rimane da discutere oggi come ieri.
È giusto basare la preparazione sulla quantità dei chilometri? Oppure è meglio verificarne la qualità e i cambiamenti che sono stati apportati applicando le tabelle d’allenamento?
Ovviamente la qualità ha la priorità, ma è veramente difficile smantellare l’abitudine di sentirsi più bravi, perché si è stati capaci di fare 40.000 chilometri all’anno.
Quando ero professionista, era abbastanza facile farne da 30 a 40 mila. Si corre per 100 giornate all’anno e si fa una media di 180km a gara, ma questo rientra in un quadro di attività lavorativa.
Anche molti amatori dovrebbero fare un’analisi della qualità dei chilometri percorsi e soprattutto dovrebbero capire qual è la motivazione che spinge a fare tutta questa fatica!
A livello pratico, l’allenamento lungo, serve a due scopi fondamentali: a perdere il peso in eccesso e ad aumentare la capacità di resistenza alle gare lunghe come le Gran Fondo.
A livello mentale, ho riscontrato che gli allenamenti di endurance provocano veri e propri stati di dipendenza: più si riesce a sopportare la fatica e più si è portati a definire obiettivi maggiormente gravosi.
La causa deriva dalle endorfine prodotte da questi tipi di sforzi. Infatti, le endorfine sono trasmettitori chimici endogeni, coinvolti nella percezione di sensazione come il dolore, l’ansia e il piacere. Quindi sono sostanze capaci di riprodurre effetti di tolleranza e dipendenza fisica.
Ma il problema è anche insito nella natura umana che tende a spingersi oltre alle proprie capacità fisiche. Si tratta di un vero e proprio bisogno dell’uomo, che viene acuito e soddisfatto proprio con l’attività fisica rivolta al superamento dei propri limiti, piuttosto che alla prestazione agonistica in sé.
E’ in tale ottica che si inseriscono attività estreme come l’Iron man, le ultra maratone e altre prestazioni sportive come le imprese in solitario: le scalate in alta quota, le attraversate oceaniche, ecc.. Chiaramente tali sportivi sono consapevoli del rischio che corrono e perciò… a ciascuno, i suoi chilometri!
A cura di Gian Paolo Mondini – Copyright © INBICI MAGAZINE