Quale specifica combinazione di macronutrienti – più o meno carboidrati, grassi e proteine – risulta vincente per dimagrire? Quale tipo di dieta prescrivere per ottenere una perdita di peso efficace? Questo è il dilemma che ha afflitto a lungo i nutrizionisti.
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Le risposte arrivano con la pubblicazione su The New England Journal of Medicine di uno studio scientifico in grado di fare chiarezza riguardo l’eterno dibattito sugli effetti della composizione della dieta nella perdita di peso: 800 adulti sovrappeso o obesi sono stati assegnati a quattro gruppi corrispondenti a quattro diete composte ciascuna da percentuali differenti di glucidi, lipidi e proteine. Per 2 anni sono state studiate le variazioni di peso arrivando a dimostrare che non ci sono evidenze scientifiche di superiorità di un particolare tipo di dieta rispetto ad un’altra per il trattamento dell’obesità; per cui in maniera molto provocatoria hanno concluso che per dimagrire non è importante cosa ma quanto, nel senso che se è una dieta ipocalorica, qualsiasi cosa essa contenga e indipendentemente dal tipo di macronutriente enfatizzato, porterà alla perdita di peso perché nessun macronutriente di per sé è “colpevole” dell’obesità.
E allora perché ci dovremmo preoccupare di imparare a mangiare? A cosa serve la tanto acclamata educazione alimentare? Perché dovremmo evitare cibo-spazzatura e sforzarci di modificare abitudini alimentari scorrette se quello che conta è soltanto prestare attenzione al conteggio delle calorie? Perché il numero di chili da perdere non è l’unica variabile da prendere in considerazione! È fondamentale scegliere un approccio in base al risultato che esso offre a lungo termine. È proprio questo l’errore di valutazione comunemente commesso quando si opta per alternative all’approccio standard di modifica dello stile di vita: dimenticare di valutare gli effetti a lungo termine e affidarsi alle innumerevoli fad diet ovvero diete che spopolano continuamente tra i vari social network e che godono o hanno goduto di un notevole ma temporaneo successo mediatico.
Si è creata ormai un’intera industria attorno al problema obesità per inventare e commercializzare programmi di dimagrimento veloci perlopiù fallimentari perché possono essere costosi, impegnativi, estremi e generalmente promuovono una perdita di peso e/o miglioramenti metabolici nel breve termine, senza preoccuparsi del mantenimento e dei potenziali rischi sulla salute a lungo termine. Ne sono un esempio il juicing e le diete detox dove il dimagrimento è indotto dalla restrizione calorica estrema via consumo esclusivo di succhi di frutta, verdura ed integratori oppure il digiuno intermittente che sfrutta l’alternanza tra astinenza da cibo per 16-48 h e periodi di normale alimentazione. Un’altra dieta di moda è la dieta paleolitica (30% carboidrati, 40% grassi e 30% proteine) che imita il modo di mangiare degli uomini delle caverne prima dell’inizio dell’agricoltura – per cui esclude cereali, legumi e prodotti lattiero-caseari processati – considerandolo ottimale per la genetica umana dal momento che avrebbe smesso di evolversi 10.000 anni fa.
La dieta Atkins che invece concede proteine e grassi illimitati e vieta i carboidrati per promuovere l’uso dei grassi come fonte primaria di carburante metabolico e generare uno stato chiamato chetosi e moltissime altre diete ancora. La verità è che l’obesità essenziale è una patologia ad eziologia complessa e multifattoriale per cui pretendere di curarla semplicemente con una qualsiasi di queste diete è assolutamente riduzionistico e anche inefficace perché il grosso limite di tutte le fad diet è quello di avere una compliance ridotta, ovvero l’impossibilità di aderirvi a lungo nel tempo, perché sono tutti approcci acuti che hanno – per la loro struttura limitante – un inizio ed una fine ed in quanto tali non idonee a risolvere un problema come l’obesità che si caratterizza per essere una patologia cronica e recidivante.
Il giusto approccio alla terapia dell’obesità è quello che va oltre la superficie, la perdita di peso non può essere l’unico traguardo da raggiungere. Non sono efficaci comandi rigidi e selettivi su cosa mangiare e cosa escludere, quali sono i cibi buoni e quali sono i cibi cattivi, bensì è necessario un approccio olistico che metta al centro il paziente in tutta la sua complessità, che scavi nella sua vita dando importanza anche a tutti gli aspetti psicologici ed emotivi che hanno spinto a trasformare a tal punto il proprio corpo.
Lo scopo del trattamento deve essere quello di “riabilitarlo” ovvero rendere il paziente di nuovo abile dal punto di vista nutrizionale e non solo. Con questo non intendo trovare una dieta che sia migliore di un’altra, ma sviluppare l’abilità di imparare a mangiare secondo un approccio che promuova un elevato livello di consapevolezza ed autonomia nelle scelte alimentari e allo stesso tempo soddisfi i fabbisogni nutrizionali, favorisca la perdita di grasso ed il mantenimento del tessuto magro, promuova partecipazione attiva del paziente, aderenza a lungo termine ed effetti benefici prolungati sui marcatori metabolici e sulla salute.
a cura della Dott.ssa Isabella Lelli biologa nutrizionista – Copyright © Inbici Magazine ©Riproduzione Riservata