Pungente, mai banale, competente e, soprattutto, fine conoscitore del “backstage” del ciclismo. In due parole, Moreno Argentin, campione del Mondo su strada a Colorado Springs nel 1986, quattro volte vincitore della Liegi-Bastogne-Liegi, oltre ad una serie di successi che ne fanno “ad honorem” uno dei monumenti viventi dello sport italiano e non solo. Con lui, durante la preparazione della Adriatica Ionica Race, abbiamo fotografato il momento controverso del nostro ciclismo.
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Moreno, come valuti il Mondiale che si è appena concluso?
“Mah, diciamo che è andata com’era nelle aspettative. Credo che nessun atleta italiano, con tutto il rispetto per i corridori, potesse coltivare grandi ambizioni. Serviva forse una tattica diversa, bisognava stare incollati sui migliori con la speranza che non ti staccassero. Invece, è uscita una corsa più impegnativa e, alla fine, i valori si sono delineati in maniera chiara”.
Dunque, secondo lei, c’è stato un errore tattico?
“Normalmente un atleta, quando ha una condizione buona, o tenta di tirare fuori una fuga numerosa con diversi corridori per nazione, oppure – se tenta la ‘sparata’ solitaria da lontano – deve sapere dove può arrivare. Bettiol e Trentin, che poi è caduto, non erano al livello dei big. Potevano sicuramente partire in una fuga da lontano, ma non da soli. Anche se al Mondiale non ci sono le radioline, deve essere il corridore a capire dove va. Bettiol avrà anche fatto una bella figura a livello personale ma, a livello di squadra, è stata una tattica perdente”.
In tema radioline: questa generazione è troppo dipendente da questo strumento?
“Forse sì ed è un peccato perché le radioline non fanno sviluppare una tattica. È come il navigatore: se lo si imposta perché ci porti in un luogo viene naturale scollegare il cervello. Nel ciclismo di oggi è la stessa cosa: dopo un giro, se non si hanno compagni assortiti e affidabili, ci si ferma”.
Che voto dai alla nostra Nazionale?
“Do un 6 ma non vado oltre, con tutto il rispetto. Quando non si hanno elementi che possono competere per la vittoria non c’è granché da fare. I nostri si sono fatti vedere, Trentin è caduto ma non credo che né lui né nessun altro atleta azzurro avrebbe potuto competere con certi fuoriclasse”.
E’ stata però una giornata a due facce: le ombre della strada e le luci della pista grazie ad un nuovo exploit di Ganna: è davvero lui la panacea del nostro ciclismo?
“Noi da anni viviamo di pezze. In questo caso è Ganna che ci mette una pezza. Dopo sei vittorie non credo sia poi nemmeno tanto emozionato. Purtroppo dobbiamo ricordarci che l’Inseguimento non è più prova olimpica. Ma soprattutto non dobbiamo aggrapparci a questi esempi sporadici che non sono la fotografia fedele del nostro ciclismo. Dopo Nibali, che è arrivato per le sue capacità, poi resta il vuoto. Sarà così anche per Ganna. Stiamo attraversando un periodo non buono e, purtroppo, credo che il futuro sarà ancora peggio. Il decimo posto di Bettiol dimostra che non abbiamo un movimento che può competere con le nuove nazionali emergenti. Non voglio tirare la croce sul Consiglio Federale, perché certe pecche c’erano anche con Di Rocco, però è innegabile che il movimento sia peggiorato anno dopo anno. C’è una falla che va riconvertita, il problema va risolto dalla testa. Non serve aggrapparsi a Ganna, adesso arriverà Milan, ma sono tutte toppe, con tutto il rispetto per questi ragazzi che rendono meno amaro il boccone”.
Il rimanere aggrappati ad un passato glorioso può avere frenato il futuro del ciclismo?
“Quando si vincono le elezioni, si promettono cambiamenti, ma ogni tanto – soprattutto quando retrocedi nei ranking – bisogna anche buttare un occhio verso le altre Nazioni. Copiare non è un delitto: realtà con meno abitanti hanno più risultati di noi, quindi andrebbe preso spunto da loro. Aggrapparsi a Milan o a Ganna non va bene. Se Bettiol fosse riuscito a prendere la medaglia i discorsi sarebbero stati gli stessi perché il movimento ha dei problemi. E quello che arriva è una casualità riconducibile al singolo”.
Adriatica Ionica Race: come sta procedendo la nuova stagione?
“Stiamo lavorando duro con Silvio Martinello, Daniele Marcassa e con un gruppo di altre sei persone. Stiamo raccogliendo le testimonianze del percorso, ripercorrendo gli aspetti storici, culturali ed enogastronomici; siamo in piena attività. Crediamo in quello che facciamo, vogliamo dare un ritorno importante alle Regioni che ci supportano dal punto di vista economico, facendo cose che nessuno fa. Cerchiamo di sopravvivere in un sistema che non ci aiuta, andiamo avanti nello spirito e nelle capacità delle singole persone. Faremo tre tappe tra Abruzzo, Puglia e Calabria. Abbiamo tre squadre World Tour: l’Astana, l’Intermarché-Circus-Wanty e la Soudal Quick Step, qualche squadra Continetal, alla fine faremo le nostre 18 squadre, l’organizzazione è avviata e speriamo di fare bene”.
a cura di M.M. – Copyright© InBici Magazine ©Riproduzione Riservata
Purtroppo Argentin a tutta la mia comprensione, la cultura del ciclismo da noi, dopo mezzo secolo di valorosi campioni è tramontata. Servono nuove forze nei direttori sportivi per creare vivai di nuove promesse, ai miei tempi direttori come Luciano Pezzi, Fabrizio Fabbri, Alfredo Martini, Franco Cribiori riconoscevano gli atleti più promettenti da lontano.Servono informazioni esaustive rivolte hai giovani per avvicinarli al mondo del ciclismo e insegnargli a fare sacrifici per arrivare domani a conquistarsi un posto d’onore.