Michele Bartoli, il “Leoncino delle Fiandre”, corridore che ha elettrizzato le platee degli amanti del ciclismo con i suoi trionfi al Fiandre, due volte alla Liegi, alla Freccia Vallone, all’Amstel Gold Race, oltre che due vittorie in Coppa del Mondo. Con lui abbiamo ripercorso quel magico periodo soffermandoci anche sulla sua nuova professione sempre avvinta al mondo delle due ruote.
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Michele, da corridore tanti successi nel nord Europa: ma cosa avevano di speciale quelle corse per te?
“Sono cresciuto in una famiglia di appassionati di ciclismo, dove nei weekend ci radunavamo davanti alla tv per vedere la Liegi, il Fiandre, la Freccia Vallone e tutte le classiche. Poi ho iniziato a correre e, come per tutti, il sogno prima era quello di partecipare, poi di vincere. Un sogno partito da bambino che si è concretizzato da grande. Ma la mia ‘cultura vincente’ per le classiche partiva, in effetti, da lontano”.
Che effetto ti ha fatto quest’anno vederle “posticipate” in estate?
“E’ stato un po’ strano, non sembravano le stesse corse e, in effetti, sono state completamente diverse. Affrontarle con il bel tempo ti facilita; correrle in condizioni ‘classiche’ invece ti risparmia poco: freddo, neve, pioggia. Però alla fine il fascino è quello, imporsi è sempre difficile. Vincere un Fiandre o una Liegi, in inverno come in estate, nella carriera di un ciclista, resta sempre una perla di valore assoluto”.
Appesa la bici al chiodo, sei passato dall’altra sponda, quella del preparatore atletico: come è stato preparare i corridori ad un calendario così particolare come quello dello scorso anno?
“Abbiamo lavorato tanto sui rulli, mettendo in campo le nostre esperienze e profilando gli allenamenti in maniera sempre molto selettiva ed individuale. E’ stato complicato, ma abbiamo ricavato informazioni interessanti da questo periodo di lockdown. Del resto, anche la preparazione sui rulli, se fatta bene, garantisce buoni risultati”.
Quanto è stato difficile passare dal ruolo di atleta a quello di preparatore?
“Non particolarmente perché in questo mio nuovo lavoro, in fondo, devo semplicemente mettere in pratica le conoscenze che ho maturato quando gareggiavo. Anzi, un ex atleta ha sempre il vantaggio di poter contare su un bagaglio tecnico molto più completo perché sa cosa comporta nel fisico una ripetuta o un determinato esercizio. Aver vissuto certe cose può fare la differenza, ma non basta. Bisogna anche studiare, aggiornarsi. E’ comunque un lavoro che mi dà grande soddisfazione perché è bello sapere che la tua esperienza, anche dopo tanti anni, può essere utile ad altri”.
Hai aperto la Michele Bartoli Academy: quanto è importante preparare nel modo giusto i giovani ciclisti a questa disciplina?
“L’Academy è stata aperta per avviare i ragazzi a questo sport, insegnando loro i passaggi necessari per arrivare il più lontano possibile. Poi tutto dipende dalle qualità e dal talento degli atleti. C’è chi diventerà un buon professionista, chi un campione, ma c’è anche chi si deve rendere conto dei suoi limiti, accontentandosi magari di una dimensione più amatoriale. Però la nostra Academy è strutturata per tutti questi passaggi, perché la formazione nel processo di crescita di un atleta è sempre fondamentale. C’è differenza tra frequentare una scuola ottima ed una scadente perché un giovane può anche essere bravo, ma se non riceve i giusti insegnamenti, alla lunga, crescerà con delle lacune. Ecco, la stessa cosa vale per il ciclismo. Abbiamo in mente di investire molto in questa Academy perché siamo sicuri che questo format può essere utile a tanti”.
Nella generazione “comoda” dei millenium, cresciuti con il telefonino in mano, c’è ancora chi ha voglia di far fatica in bicicletta?
“La propensione al sacrificio è importante perché il ciclismo è uno sport durissimo, ma con certi giovani non si può uscire subito dalla dimensione dello svago e del divertimento. E’ chiaro che, ad un certo punto, ci vorrà il salto di qualità, ma il ciclismo non può essere insegnato soltanto come un martirio. Ci vuole il giusto equilibrio perché altrimenti i talenti si perdono per strada”.
In un periodo come l’inverno quanto è importante la multidisciplinarietà per preparare una stagione?
“Direi essenziale. Nell’Academy, ad esempio, facciamo ciclocross che è una disciplina formativa molto importante perché ti insegna a guidare bene la bici e a cambiare la strategia di gara facendo i conti con tanti imprevisti. Io credo che il ciclocross sia un passaggio importante per la crescita di ogni atleta”.
Dunque non è un caso che grandi campioni come Sagan e Van Der Poel, per fare due nomi, nascano dal mondo del ciclocross?
“No, assolutamente. Poi è chiaro che questi corridori sono campioni e sarebbero venuti fuori comunque, non è che sono a quel livello solo perché hanno fatto ciclocross. Ma è la testimonianza che questa disciplina è servita. Io stesso nasco come ciclocrossista e questo mi è servito molto in classiche difficili come quelle del Nord”.
Credi possa essere utile anche per il rilancio di un corridore come Aru?
“La scelta di Aru mi fa piacere e sono convinto che gli possa portare vantaggi sotto tutti i punti di vista”.
In vista della nuova stagione chi vedi come favoriti per le corse di un giorno e come vedi i nostri atleti?
“Credo che Ganna potenzialmente possa essere il nostro punto di riferimento per le classiche. Anche Moscon, se riesce a fare il cambio di marcia, può diventare un protagonista. Lo stesso Bagioli nelle Ardenne può far bene”.
Chiudiamo con una curiosità: quei due bronzi Mondiali a Lugano nel 1996 e a Valkenburg nel 1998: quanto ti hanno bruciato e ti bruciano ancora a distanza di anni?
“Quando finisci una carriera e ti accorgi che i mondiali vinti potevano essere due e invece in bacheca non ne hai nemmeno uno, un po’ brucia! A Valkenburg c’è stata molta sfortuna. Tra cadute, rotture di bici e vari imprevisti quel bronzo è stato un po’ figlio degli episodi che, mai come in quell’occasione, si sono concentrati in un’unica giornata. A Lugano, invece, pagai la tattica un po’ scriteriata di alcuni componenti della squadra. Che posso dire? Anche a distanza di tanti anni il rimpianto rimane, ma non me ne posso fare una colpa. Mi spiace certo, ma è andata così…”.
a cura di M.M – Copyright© InBici Magazine ©Riproduzione Riservata