Filippo Baroncini nel 2021 a Lovanio si è laureato Campione del Mondo Under23, poi due anni difficilissimi a causa dei tanti infortuni che lo hanno costretto a dei lunghi periodi di stop forzato. In forza alla Trek Segafredo, il romagnolo alla fine di questa stagione saluterà la formazione americana per approdare alla UAE Team Emirates di Tadej Pogacar grazie alla firma di un contratto biennale: “Sono felice di passare alla UAE Team Emirates, per me è uno step in avanti ed è quello che cercavo personalmente. Senza togliere niente alla Trek, ma in questi anni mi sono reso conto che mi è mancato qualcosa dal punto di vista generale. Credo sia giusto cambiare anche per cercare nuovi stimoli“.
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La vittoria al Mondiale Under23 e poi due anni difficili, complici i tanti infortuni…
“Sono state stagioni difficili e quasi mi sento di dire di non aver ancora fatto una prima vera stagione da professionista. Dal punto di vista della performance mi sento ancora dilettante, perché non ho avuto la giusta continuità complici chiaramente i tanti infortuni. Sono cresciuto ma rispetto ad altri miei coetanei, al momento, sono rimasto un passo indietro e si è vista la differenza. Loro hanno fatto un passo avanti, io invece ho sempre dovuto inseguire”.
Cosa ti manca per diventare competitivo anche tra i professionisti?
“Mi manca la continuità, ma adesso sento di stare bene. Speriamo in queste ultime gare di stagione di far vedere qualcosa e di trovare le giuste sensazioni in corsa e, perché no, magari provare a centrare un buon risultato. Anche fare un Grande Giro è una cosa che mi è mancata in questi anni e che farò quasi sicuramente il prossimo anno”.
Pensi che un successo potrebbe sbloccarti?
“Sì, al 100%”.
Nelle cronometro hai dimostrato una buona attitudine: specializzarti nelle prove contro il tempo potrebbe diventare un’ipotesi?
“In Colpack ho iniziato a lavorarci tanto e i risultati lo hanno dimostrato. E’ una specialità su cui vorrò lavorarci ancora tanto, sono gare che si giocano sul filo del rasoio e c’è bisogno di un lavoro meticoloso prima”.
All’Italia non mancano i talenti giovanili, e tu ne sei un esempio. Ma perché poi per gli azzurri è così difficile emergere tra i professionisti?
“Non è il mio caso, ma credo che tante volte si perda il morale. In aggiunta c’è anche, secondo me, la paura di lavorare e caricare troppo”.
Pensi che nel 2024, se la sfortuna ti lascerà finalmente in pace, potrai finalmente dire la tua nelle corse di un giorno?
“Secondo me sì, poi sarà la strada a parlare. L’importante è trovare la giusta continuità senza intoppi”.
Vedere corridori dominanti come Evenepoel, Pogacar, Roglic, etc… è uno stimolo per te?
“A me piace guardare me stesso, ma sicuramente avere in squadra un corridore come Pogacar sarà sicuramente un grande stimolo e punto di riferimento. Sono curioso di entrare a par parte della mia nuova squadra”.
Nel ciclismo moderno, a 23 anni, si è giovani, ma non giovanissimi. C’è ormai una fretta di ottenere subito i risultati oppure pensi che per alcuni sia più importante una crescita graduale?
“Penso che sia più importante una crescita graduale, non bisogna adagiarsi sicuramente e perdere tempo, però neanche avere la smania di voler tutto subito. Il ciclismo è cambiato e chiaramente ci si deve adattare, ma io negli anni ho imparato a saper aspettare anche come conseguenza degli infortuni che ho avuto. Se si tira troppo il motore, si finisce secondo me con il pagarla, ma questo è un mio pensiero”.
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