Mark Cavendish a cuore aperto. Dopo il passaggio all’Astana, il britannico si è raccontato in una lunga intervista al Times (riportata in italiano da Spaziociclismo), dove il 37enne velocista ha toccato diversi aspetti della sua carriera.
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Sul possibile raggiungimento del record vittorie al Tour de France: “Quel primato è importantissimo per le persone, ma per me quello che conta è vincere. Non una sola corsa, ma due, tre, tutte quelle che posso. Il Tour è la gara intorno alla quale ho costruito la mia carriera, ma ormai siamo al punto in cui penso di essere indipendente da quel record e dalla figura di Merckx”.
Sui continui e recenti cambi di squadra: “Ultimamente mi è sembrato di saltare da un problema all’altro. Alla Dimension Data non stavo bene a causa proprio della squadra, ma sono stato trattato malissimo per quello. Ora tendo a dare meno fiducia alle persone, sono conscio del fatto che gli altri non sono leali con te in quanto persona, ma con quello di cui hanno bisogno da te”.
Poi ha aggiunto: “Sono stato in squadre dove mi trattavano come un idolo. Poi capita invece di sentirti isolato, ti accorgi della pressione che c’è su di te e non è una bella cosa. E sono stato anche in squadre dove mi avrebbero preso a calci, metaforicamente parlando, e, allo stesso modo, non è una bella cosa. All’Astana Qazaqstan mi sono sentito invece subito rispettato per quello che ho fatto in carriera e per quello che posso ancora. E, soprattutto, come persona. Con Alexandr Vinokourov non ho dovuto giustificarmi per voler essere ancora un corridore. In più, lui e la squadra sono stati estremamente disponibili con me, in particolare per via del processo in corso in cui io e la mia famiglia abbiamo dovuto testimoniare“.
Una fiducia ritrovata: “Con Pineau ero in parola già da luglio, poi, a inizio dicembre è iniziato a diventare un po’ nervoso. Vinokourov mi chiamato e mi ha chiesto cosa pensassi della possibilità di andare in Astana. Ha messo in chiaro da subito che non avrebbe potuto pagarmi quanto la B&B mi aveva promesso, ma mi ha anche detto che non ci sarebbe stata alcuna pressione da parte sua. ‘Se non vinciamo, nessun problema; ma continueremo a provarci‘, sono state le sue parole. Nessuno mi aveva parlato così da tantissimo tempo”.
Infine una fotografia sul ciclismo attuale: “Adesso si guarda solo ai numeri e ai dati di potenza, le squadre cercano tutte il nuovo Van Aert. Io sono stato capace di adattarmi nell’arco di 15 anni, ma penso che oggi uno come me non potrebbe passare professionista. Ai miei tempi, vincevi da Under 23 e ti offrivano i contratti; ora guardano al potenziale fisico, non a quello che sei capace di vincere. Il miglior velocista di oggi? Ammiro Jasper Philipsen: non è quello che sprigiona la potenza maggiore, ma è uno che sa pensare da sprinter ai Grandi giri”.
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