Tempo di bilanci nel ciclismo internazionale. Tante emozioni in ogni gara, con Tadej Pogacar che ha monopolizzato la scena con i successi al Giro d’Italia, Tour de France e Mondiale. Andiamo dunque a tracciare una linea assieme a un ospite illustre: il ‘Diablo’ Claudio Chiappucci.
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Il 2024 è stato l’anno di Pogacar.
“C’è poco da discutere, qualcosa di risaputo: in ogni corsa si sapeva che non avrebbe lasciato scampo agli altri. Anche se fosse partito più vicino dal traguardo avrebbe fatto la stessa differenza. Ogni volta che ha attaccato non ha avuto bisogno di un secondo scatto, riuscendo ad andare sempre via. Partire da lontano ha messo gli altri ancora più in disarmo, vuoi perché erano disorganizzati o inferiori”.
In molti hanno considerato il suo successo al Tour ‘con l’asterisco’ per le condizioni di Vingegaard. Un po’ come accadde nel 2023 a parti invertite. Sei della stessa opinione?
“Direi di no. La superiorità di Pogacar quest’anno è stata davvero netta, a parte nella tappa di Le Lorian in cui non so che cosa sia successo, era anche una frazione più favorevole allo sloveno essendo più veloce. Quest’anno Tadej ha reso ancora di più rispetto agli altri anni, in cui comunque vinceva tanto. Ma è stato disarmante il fatto che riuscisse a fare il vuoto con tutti al primo scatto, senza mostrare segni di difficoltà: tutto è andato liscio come l’olio per lui. Che fosse corsa in linea o a tappe ha fatto sempre la differenza, e quest’anno non ha corso nemmeno così tanto rispetto agli anni passati. Il rapporto tra corse e vittorie è elevatissimo”.
Comunque lui è parte di una élite di cui ci sono anche Vingegaard, Roglic ed Evenepoel nei grandi giri, e Van Aert e van der Poel nelle Classiche. Sono una spanna sopra gli altri.
“Gira e rigira c’è la corsa loro e quella degli altri. Ogni volta che si sono mossi hanno fatto la differenza. Poi c’è da valutare il periodo invernale, se ci sarà qualche calo o qualche miglioramento. Non so quanto, penso che siamo arrivati a limiti da extraterrestri con record che continuano a cadere, c’è poco da stravolgere o fare di meglio”.
A proposito dei record: quali sono i fattori che possono spingere ad una estremizzazione così alta delle prestazioni?
“Cambia il modo di interpretare il ciclismo. Le distanze. Ma soprattutto le biciclette, le tecnologie, il modo di preparare le corse stesse. Oggi ci sono ciclisti che preparano solo una parte di stagione. I corridori di oggi poi hanno il meglio a disposizione, a volte è imparagonabile mettere a confronto altre epoche”.
Un voto alla stagione di Antonio Tiberi.
“Deve ancora crescere. Promette bene e lo ha dimostrato, bene con il successo al Giro del Lussemburgo. Ma si è perso tante volte, non ha ancora un rendimento costante e questo è quello su cui deve migliorare per essere al livello dei migliori. Rimanere su questo livello sarebbe ancora troppo poco. Poi deve anche saper scegliere in base alle caratteristiche, non è detto che possa essere un corridore che riesca a far bene tutto: deve scoprire per bene che tipo di corridore sia. Per lui il 2024 è stato un anno per rimettersi in auge, per valutare le sue doti che si sono viste. Ora però deve fare uno step in più per diventare un ciclista di spessore e capire le corse più adatte a lui”.
Piganzoli e Pellizzari invece? Hanno mostrato qualcosa di interessante.
“Due ragazzi di talento, ma che comunque hanno fatto ancora poco, non possiamo considerarli ancora campioni per il futuro. Sono emersi in questa stagione facendo vedere belle cose, ma per loro vale un po’ vale lo stesso discorso fatto con Tiberi. Un conto è essere dei giovani che hanno qualità per emergere e le fanno vedere, ma quando ti aspettano al varco è diverso, arriva il momento di dover dimostrare. Soprattutto Pellizzari, per lui è un salto di qualità non indifferente, non va in una squadretta a fare il capitano ma dovrà sgomitare per emergere, dove ce ne sono tanti buoni. Per lui e Piganzoli il 2025 sarà un anno importante”.
Filippo Ganna: è il momento di puntare a una classica?
“Ora è in un momento di assestamento e deve capire su che cosa puntare. Da passista con scatto da finesseur ci sono delle Classiche che sono possibili per lui. Ma tutto sta a capire come programmerà la sua stagione; probabilmente per lui sarà una annata un po’ più libera dagli impegni su pista per puntare di più alla strada e credo che per lui sia importante inanellare qualche bella vittoria e dei risultati di rilievo in corse importanti”.
Milan invece al momento è la nostra carta migliore in generale.
“Tra gli italiani probabilmente è quello che può vincere più corse e ha già dimostrato tanto. Si può fare affidamento su di lui, ma non su tutte le corse: poi bisogna sapersi anche gestire, si sa destreggiare bene come passista veloce: può puntare a tante corse in futuro”.
A proposito di futuro, si parla spesso del fatto che la generazione italiana sia un po’ in difficoltà. Ma ridurla alla mancanza di una squadra World Tour è un po’ poco: che idea ti sei fatto?
“Io di solito tendo a sottolineare la questione caratteriale. A volte perdiamo il fatto che essere dei ciclisti professionisti non è soltanto un lavoro, ma principalmente una passione. Se non ce l’hai, non si va oltre i limiti, la bici ti porta a tante rinunce. Chi sceglie la bicicletta deve sapere che deve investire al massimo sui propri anni in carriera, non sai quanto puoi rimanere pro. E bisogna mettere tutto il possibile dentro, in qualunque squadra tu sia. Forse molti giovani si perdono anche a causa della loro gestione: io da juniores non sapevo nemmeno cosa fosse il professionismo, oggi già sono proiettati verso il grande ciclismo. Si bruciano i tempi e bisogna capire se questi ragazzi riescono a sopportare questo forzare i tempi”.
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Arabba: La Perla delle Dolomiti per il CicloturismoA cura della redazione di Inbici News24 e OA Sport
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