Correva l’anno 1984. Era il 5 di agosto in un’estate californiana a Los Angeles. Quattro ragazzi in sella ad una bici, un unico sogno: vincere le olimpiadi.
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I loro nomi sono scolpiti nella mente degli appassionati di ciclismo, come la formazione dell’Italia ai Mondiali dell’82. Marcello Bartalini, Marco Giovannetti, Eros Poli e Claudio Vandelli. Medaglia d’oro ed eroi per sempre.
In vista delle Olimpiadi di Tokio, abbiamo voluto ripercorrere quella meravigliosa pagina di sport con Claudio Vandelli, uno degli alfieri del magico quartetto azzurro.
Claudio, che cosa ricordi di quell’estate a Los Angeles di 37 anni fa?
“Ricordo tutto perché i Giochi Olimpici restano per tutta la vita, non passano mai di moda. E’ una vittoria che ci porteremo dentro per sempre. Ricordo la fatica, legata alla preparazione durissima per essere al top il 5 agosto del 1984. E ricordo la gioia per la vittoria, le emozioni ascoltando l’inno della tua Nazione. Lì capisci di aver fatto qualcosa di bello, qualcosa che resterà per sempre”.
Come vedi il percorso della nostra Nazionale verso Tokyio e che chance abbiamo per le prossime Olimpiadi?
“Credo che per il ciclismo le speranze siano abbastanza ridotte. Al momento i protagonisti principali sono di altre nazioni, anche se la strada da qui al Giappone è ancora molto lunga. L’importante in questo genere di gare è arrivare all’appuntamento clou al meglio delle capacità fisiche e mentali ma, ripeto, sulla carta sono altre le nazioni che possono portare a casa le medaglie”.
Si parla tanto di Filippo Ganna come punta di diamante della nostra Nazionale…
“Per quello che riguarda la cronometro Ganna ha fatto già vedere delle bellissime cose. Anche al Mondiale di Imola ha fatto benissimo e su strada va molto forte. E’ un ragazzo serio, seguito da un grande tecnico come Marco Villa. Sì lui ha delle ottime prospettive e, anche a livello di strada, potrebbe regalarci qualcosa di importante”.
La pista, sulla spinta dei grandi risultati della nazionale, è tornata ad essere il fiore all’occhiello del nostro ciclismo…
“Vero ma, sul piano dell’impiantistica, abbiamo ancora tanta strada da fare. Il figlio della mia compagna corre da Juniores, pratica la strada: lo scorso anno da Allievo ha vinto anche il campionato italiano di velocità olimpica. Ma questo ragazzo per allenarsi in pista deve andare o a Forlì o a Fiorenzuola. Dunque, se un giovane vuole correre in pista non è che abbia chissà quali opportunità. Inoltre, le gare per queste categorie sono molto risicate. Quando correvo io c’erano molti più appuntamenti agonistici e questo voleva dire molto più materiale umano a disposizione. Nello sport quello che serve è la ‘materia prima’ e, da noi, il quadro è desolante: mancano le corse, le società e gli sponsor… non è facile emergere in queste condizioni”.
Come si sta lavorando in chiave Nazionale: cosa ci manca per essere a livello di Nazioni più “sviluppate” rispetto a noi?
“Manca la base e quei pochi talenti sono tutti protesi verso la strada. Invece dovremmo prendere spunto da corridori come Van Der Poel o Van Aert che fanno anche ciclocross e i risultati si vedono, sono molto più completi. A noi manca questa risorsa, siamo ancora arretrati su certi argomenti. Anche al Giro di squadre italiane ce ne sono pochissime e questo limita molto. Tanti sponsor che investono nel ciclismo non ce ne sono e quelle aziende che vorrebbero investire, di solito, scelgono altre discipline”.
Ha seguito la polemica sulle wild card al Giro con l’esclusione della Androni?
“Sì l’ho seguita e non riesco a capacitarmi come una squadra del genere possa essere rimasta fuori. E’ una squadra italiana con sponsor italiani ma, nonostante questo, al Giro non la vedremo. Viceversa vedremo altre formazioni che verranno solo per allenarsi e che certo, sul piano dello spettacolo, daranno un contributo molto marginale. Quelli del team di Gianni Savio, invece, non si sarebbero risparmiati e ci avrebbero fatto vedere grandi cose”.
a cura di M.M ©Riproduzione Riservata-Copyright© InBici Magazine