Niccolò Bonifazio è stato vittima di una serie di circostanze molto sfortunate oggi. Caleb Ewan che gli ha chiuso la traiettoria mentre era lanciato verso la volata, la catena della bici caduta e… il telefonino dello spettatore a bordo strada. Purtroppo, noi parliamo del fatto che la sicurezza per chi fa ciclismo debba essere sempre al primo posto, ma che esempio si può dare se succedono queste cose nella corsa più importante del mondo?
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E’ pazzesco come, a 250 metri dall’arrivo, una persona decida di sporgere la propria mano al di là delle transenne per filmare un arrivo in volata con il cellulare. Prima di tutto perché il video viene davvero male, visto che i corridori stanno sfrecciando a 60 km orari. In secondo luogo, perché quel telefono potrebbe colpire qualcuno, e per fortuna Bonifazio è stato bravo a colpirlo con la testa. Il casco ha fatto il suo dovere, non solo salvando il giovane sprinter della Total Direct Energie, ma anche mandando in frantumi l’apparecchio elettronico. Ben gli sta a quello spettatore che avrebbe potuto tenere le mani al loro posto.
Mentre mi domando il motivo per il quale non c’erano delle transenne alte a proteggere gli ultimi metri della corsa, mi domando se mai riusciremo ad avere un percorso che possa garantire il massimo della sicurezza. Mi rendo conto sempre di più che i telefonini sono davvero degli avversari della sicurezza: ad oggi, tutti vogliono fotografare, fare dirette e video. Si pensa a tutto in quei momenti, tranne che alla sicurezza. E tutto per avere un paio di like in più sotto la foto.
Non mi riferisco, in questo caso, solo agli spettatori, ma anche ai ciclisti. Allargando il discorso all’ambito cicloturistico, quante persone vediamo ogni giorno con il telefonino in mano mentre sono in sella alla propria bici? Per non parlare poi degli automobilisti distratti: e qui potremmo aprire un capitolo lunghissimo.
Purtroppo, una soluzione non c’è. Bisognerebbe fare come agli esami di stato: ognuno consegni il proprio telefonino all’ingresso, verrà restituito all’uscita. E’ impossibile. E allora continuiamo a dirci che bisogna educare le persone: ma purtroppo, per una foto, il rispetto passa non in secondo piano, ma ben oltre.
A cura di Carlo Gugliotta per InBici Magazine