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Michele Bartoli

CRISI DI TALENTI, NUOVE REGOLE UCI E AMATORI: MICHELE BARTOLI A RUOTA LIBERA!


Michele Bartoli, un nome che per il mondo delle due ruote non ha bisogno di grandi presentazioni. 

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Cavaliere delle classiche del Nord che lo hanno portato a vincere il Giro delle Fiandre, due Liegi-Bastogne-Liegi, una Freccia Vallone, l’Amstel Gold Race e due Giri di Lombardia. Una carriera gloriosa e che oggi prosegue sempre nel mondo del bike, ma questa volta al servizio degli atleti.

Liege Bastogne Liege 1997 – 83rd Edition – Liege – Ans – 262 km – 20/04/1997 – Michele Bartoli (ITA – Team MG Boys Maglificio – Technogym) – photo Roberto Bettini/HR/BettiniPhoto©2018

Michele, dal tuo glorioso passato sui pedali alla cura dei colleghi adesso. Quanto è stato naturale per te immergerti in questa nuova realtà e quanto ti aiuta essere stato per tanti anni dall’altra parte?

“E’ stato un passaggio naturale, già da corridore ero molto attento a questo mondo. Sono partito dai ragazzini fino ad arrivare dove sono ora. E’ un qualcosa che sentivo dentro”. 

Com’è cambiato il modo di stare in bici degli atleti negli ultimi anni e quanto è variato “l’essere ciclisti” anche dal punto di vista alimentare nell’ultimo periodo?

“Da un punto di vista della preparazione atletica il mondo ciclistico oggi è più aperto. Il salto più grosso è stato fatto verso l’attenzione all’alimentazione, qui è cambiato molto, ora è tutto molto più minuzioso, mentre prima magari si andava più a sensazioni. Tutto è molto dettagliato e per certi versi affascinante”. 

Chris Froome 

Credi che le nuove regole che ha introdotto l’UCI, vietando certe posture in discesa e in piano abbiano cambiato un po’ le richieste dei professionisti?

“Sono state proibite alcune posizioni. Una di queste l’avevo ‘inventata’ io: quella che si usa in pianura con i gomiti sul manubrio. Iniziai ad un Fiandre e poi è andata avanti. Certe scelte vengono prese per la sicurezza e questo è un elogio da fare all’UCI, però da un lato toglie l’estro agli atleti di trovare qualcosa di particolare. L’atleta può prenderla un po’ male all’inizio. Non ho mai visto cadute per la mia posizione o quella che ha inventato Froome, ho visto invece cadute per una curva pericolosa; se si guarda alla sicurezza occorre porre l’occhio anche su queste cose non solo sul come si sta in bicicletta”. 

Michele Bartoli

Lasciando l’ambito dei pro come è variato l’approccio alla bici degli amatori e degli appassionati?

“Ora gli amatori hanno una scelta completa. Trovo una bella invenzione la E-bike perché ti permette di apprezzare posti che altrimenti non avresti mai raggiunto, ed ha aperto un mondo molto bello ed interessante per gli amatori. La gravel ti fa riscoprire cose che non avresti mai potuto scoprire”. 

Stai mettendo al servizio dei più giovani la tua esperienza, con la tua squadra, cosa vuoi trasmettere alle giovani leve?

“Fargli capire cosa vuole dire fare il ciclista. A noi non interessa fare risultato, è una conseguenza, quando un ragazzino impara a fare l’atleta la vittoria è una conseguenza. Il nostro motto è insegnare a vincere, non vincere a tutti i costi. Noi insegniamo all’atleta come si può vincere è chiaro che si passa dall’alimentazione agli allenamenti al riposo, tutto passa da queste cose”. 

In loro vedi la voglia di fare fatica che avevi tu alla loro età?

“E’ un po’ soggettiva. Ci sono atleti che fanno più volentieri fatica altri meno. Lo scopo nostro è spiegare perchè serve far fatica. Da giovane la fatica da un po’ fastidio, diventa bravo chi la sopporta di più”. 

Ciclocross, primo passo per avvicinare i giovani?

“Assolutamente sì. Io sono nato ciclocrossista, fossi stato in Belgio o in Olanda lo avrei fatto anche da Professionista. Quello che facciamo noi in Italia non è vero e proprio ciclocross. Lo spettacolo di Van der Poel e Van Aert è qualcosa di consueto da quelle parti. Noi non diamo l’importanza adeguata a questa disciplina”. 

Dal tuo punto di vista perchè in Italia c’è questa anemia di campioni su due ruote? A cosa è dovuta questa involuzione?

“Ci sono un po’ di vuoti. E’ il nostro movimento che non funziona. C’è chi dice che si allenano poco chi dice che si allenano male. E’ un discorso troppo ampio. Vogliamo guardare all’oggi e non al domani. Fin dal primo giorno che un ragazzino prende in mano la bici si guarda alla vittoria. Noi, nella nostra squadra, vogliamo allenare a vincere. Se arrivano secondi, terzi, quarti, quinti non ci interessa, basta che facciano le cose fatte bene. Se trovi l’atleta di valore impara talmente bene che diventa un grande; se non glielo insegni resterà un buon atleta ma senza sfondare”.

Noti un po’ di paura da parte anche dei genitori nell’affidare i propri figli al ciclismo, alla strada?

“Da noi la strada è pericolosa, il calo dei campioni può essere derivato anche da questo. Io ho iniziato a correre a 8 anni e c’erano 4-5 gare in Toscana la domenica, oggi se va bene ce n’é una. È diminuito molto il numero degli atleti che si approcciano al ciclismo e meno atleti meno possibilità di trovare campioni. Io ho un figlio che gioca a calcio e non gli ho mai detto di fare ciclismo perché ho paura. Salvini si è espresso per fare una legge che tuteli i ciclisti, questo potrebbe essere un passo che nel giro di qualche anno potrebbe aiutare, dando maggiori garanzie sul fronte della sicurezza”. 

Tour de France 2018 – 105th Edition – 2nd stage – Mouilleron-Saint-Germain – La Roche-sur-Yon 182.5 km – 08/07/2018 – Peter Sagan (SVK – Bora – Hansgrohe) – photo Vincent Kalut/PN/BettiniPhoto©2018

A fine anno smetterà un personaggio che per certi versi ha cambiato il modo di vendere il prodotto ciclismo come Peter Sagan. Che cosa ha dato al mondo del bike e quanto servono personaggio come lui per avvicinare i giovani al ciclismo ed alla Mountain Bike?

“Servono molto. Sagan è stato il precursore del nuovo ciclismo, anche più social, più di spettacolo. Anche le squadre adesso sono più attente, suoi social presentano gli atleti e le vittorie. Fortunatamente il ciclismo si è tenuto qualcosa da Peter. Sagan è uno che mancherà al mondo del ciclismo. E’ una persona seria, rispettosa degli avversari e poi, lo ripeto, ha portato qualcosa di nuovo”. 

In conclusione, ti chiedo: al ciclismo moderno mancano i grandi duelli che hanno infiammato i bar sport? Penso magari a te con Pantani da giovani, lo stesso Pantani con Tonkov , tu e Bettini per le classiche…

“In Italia mancano. All’estero il duello Van Aert – Van der Poel è uno spettacolo, che portano anche all’inverno, nelle Classiche ci fanno divertire. Manca un corridore forte in Italia, figuriamoci a trovarne due – ride, ndr -. Ci sono giovani che sembrano crescere come Ciccone, qualche atleta c’è speriamo di vederlo alla ribalta. Il corridore che mi stimolava? Laurent Jalabert su tutti, poi Frank Vandenbroucke, poi Frank è entrato nella spirale della depressione. Se devo prendere due nomi loro due sono quelli che più mi hanno stimolato”.

a cura di M.M – Copyright© InBici Magazine ©Riproduzione Riservata

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