La storia di Diego Caverzasi spigola tra due dimensioni: il mondo di YouTube e quello della bici.
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Il giovane varesino, classe ’94, nell’ultimo anno – tra un’acrobazia e un’altra – è riuscito a crearsi una sua community che lo segue ormai con grande affetto nelle gare più importanti dello slopestyle, una delle varianti più spettacolari del mondo acrobatico mtb.
Anche per lui la folgorazione è arrivata in tenera età, quando comprò una bicicletta al supermercato. Tanti bambini si sarebbero limitati a pedalare. Lui no, su quel mezzo ha sfidato la legge di gravità ed oggi è uno degli interpreti più apprezzati di questo gioioso mondo di pazzi.
Diego, cosa cerchi di trasmettere con i tuoi video e quanto pensi sia importante oggi la comunicazione social?
“Volevo capire in che modo, chi mi segue, percepiva le mie performance e devo dire che, cammin facendo, le cose sono cambiate. Anni fa ricordo che venivamo etichettati semplicemente come dei ‘pazzi’. Oggi invece siamo più visti come dei pionieri, persone che sanno quello che fanno e, in molti casi, anche un esempio da seguire. I ragazzi trovano la disciplina accessibile ed in tanti mi dicono che faccio sembrare tutto facile. Oltre a questo c’è la disponibilità illimitata di materiale video a disposizione di tutti. Quando ho iniziato io tutti aspettavano una volta l’anno il famoso film “New World Disorder” per sapere dove si erano spinti i rider migliori del mondo e spesso il film era anche difficile da reperire. Oggi i contenuti sono sui social e molto più accessibili a tutti”.
Oltre ad essere un dirt-rider, da circa due anni hai preso sul serio YouTube: cosa ti ha spinto verso questa piattaforma?
“Buttarmi su Youtube è stata una scelta a cui ho pensato almeno per tre anni. Del resto, è un ‘lavoro’ molto impegnativo ma, visti gli scarsi risultati in termini di visibilità che mi dava la mia disciplina anche dopo essere arrivato al top a livello mondiale, ho capito che non potevo lasciar fare tutto al caso, ma che dovevo darmi da fare per creare la mia comunicazione. A quel punto ho iniziato ad essere il testimonial di me stesso e la mia community è cresciuta rapidamente. A quel punto, ho iniziato anche a modificare il mio modo di interpretare questa disciplina: non solo il puro allenamento da atleta finalizzato alla prestazione in gara, ma anche dettagli più mediatici al servizio del personaggio”.
Il movimento italiano di slopestyle sta crescendo molto: pensi che nei prossimi anni si potranno vedere competizioni anche in Italia?
“Mah, in Italia sta crescendo la MTB in generale, ma lo Slopestyle è un discorso a sé. Con questa disciplina entra in gioco il fattore rischio che poche persone sono disposte ad accettare. Purtroppo al momento non c’è nessuna nuova leva in grado di ripercorrere i miei passi e provare a far qualcosa a livello internazionale”.
C’è una competizione che ricordi con piacere?
“Il Crankworx Whistler 2019 è stato l’ultimo grande evento che ho fatto. Poi tutto si è frizzato per colpa del covid. A dire il vero, quell’anno stava andando malissimo. Avevo riportato due infortuni di fila che mi avevano abbattuto parecchio a livello psicologico. Poi arrivò Whistler e lì, dall’inizio alla fine, riuscii a fare la mia gara come l’avevo pensata. Quella prestazione mi valse appena un settimo posto, eppure ero soddisfatto del mio risultato personale”.
Ripercorriamo qualche tappa della tua carriera: negli ultimi anni sei riuscito a portare a casa ottimi risultati, ma il Crankworx del 2018 resta forse, ad oggi, il momento più alto…
“Il Crankworx è sicuramente l’evento che ha più risonanza mediatica. Gli eventi Diamond sono difficili tecnicamente perché i percorsi sono millimetrici e spesso difficoltosi anche solo da affrontare senza trick. A livello competitivo in realtà sono più impegnativi gli eventi Gold del world series; primo perché bisogna affrontare una fase di qualifica e quindi fare due competizioni in due giorni. Oltre a questo, i rider presenti a volte sono sconosciuti e potrebbero indovinare la gara della vita e piazzarsi davanti a tutti. Per questo ritengo come mio miglior risultato aver vinto nel 2016 e 2017 il 26Trix a Leogang”.
Quanto dai importanza ai social?
“Oggi, e dico purtroppo, tutto si basa sui social, quindi nel mio caso rappresentano, in una chiave professionale, un’assoluta priorità. Del resto, non essendo questa disciplina riconosciuta da nessuna federazione, non c’è nessun tipo di organizzazione che può garantirti uno stipendio. Alla fine ciò che guadagni è tutto frutto del tuo lavoro”.
Hai girato i paesi con i bike-park migliori al mondo, ma quale pensi sia stato il più bello, quello in cui hai trovato più feeling?
“Sicuramente amo andare a Whistler, dove i trail non finiscono mai. In Canada hanno un’attenzione alla bici estrema, ci sono anche condizioni diverse rispetto a qui che permettono di poter costruire bike-park e sentieri molto più semplicemente. Nonostante questo però amo girare con i miei amici ed alla fine prediligo Livigno dove mi piace passare la maggior parte della stagione estiva”.
Hai una strana passione: i Lego…
“Sì i mattoncini Lego mi accompagnano fin da piccolo, sono fantastici, li trovo estremamente educativi per i bambini, mentre per me sono solo un gioco…”.
a cura di Leonardo Serra ©Riproduzione Riservata-Copyright© InBici Magazine