Si è conclusa solo pochi giorni fa la vicenda che ha coinvolto Enrico Rossi, corridore che era stato indagato nell’Operazione Cobra Red, che aveva visto indagate 35 persone fra Roma e Rimini. Il 37enne romagnolo è passato professionista nel 2007 con la OTC Doors – Lauretana e ha fatto parte della Ceramica Flaminia prima di chiudere la carriera indossando prima le divise della Meridiana Kamen e poi della Christina Watches. Tra i suoi risultati, ricordiamo un successo al Memorial Pantani del 2008, la Dwars Door Drenthe del 2010 e la classifica generale del Giro di Slovenia 2012. Molto importante anche l’ottavo posto alla Milano-Sanremo del 2009.
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Enrico Rossi è fratello di Vania, ed è quindi stato il cognato di Riccardo Riccò. La sentenza di innocenza, in quanto “il fatto non sussiste”, è arrivata solo pochi giorni fa, nonostante lui abbia abbandonato l’attività agonistica da molti anni. Lo abbiamo contattato mentre era impegnato con il proprio lavoro, e gentilmente ha risposto alle nostre domande.
Finalmente si è chiusa una vicenda lunga e molto brutta che ti ha visto coinvolto. Quali sono le sue emozioni a riguardo?
“Le sensazioni sono controverse. Da una parte sono felice che sia finito tutto nel migliore dei modi con l’assoluzione completa. Dall’altra però c’è tanta tristezza per tutti questi anni persi e tutto quello che è successo con la perdita di quello che era all’epoca il mio lavoro nel mondo ciclistico. Proprio per questo motivo non sono felice del tutto visto che ripenso a tutto quello che ho passato in questi 9 anni sia nella vita sportiva che, soprattutto, in quella personale”.
Come mai ci sono voluti ben 9 anni per far cadere tutte le accuse nei suoi confronti?
“Purtroppo in questi processi con tante intercettazioni e tante persone da ascoltare i tempi sono molto lunghi. Per fortuna ora la vicenda si è conclusa con la completa assoluzione”.
Quanto ha influito il suo legame all’epoca con Riccardo Riccò per lo scoppio di questa inchiesta?
“Se non avessi conosciuto Riccardo Riccò, che era il fidanzato di mia sorella all’epoca, questa vicenda non sarebbe mai nata. Basta pensare che tutto è nato per via di un’inchiesta che lo riguardava che ha portato a mettere sotto controllo vari telefoni, fra i quali il mio. Ci sono state delle intercettazioni che sono state interpretate in maniera distorta come poi è stato dimostrato nella rilettura”.
Forse l’amarezza maggiore che le rimane è quella di aver visto la sua carriera troncata sul più bello?
“Sicuramente. Mi trovavo in una squadra molto buona ed avevo dei contatti con una squadra estera per la stagione successiva. Un contratto che forse mi avrebbe cambiato la carriera o comunque c’erano i presupposti perché ciò potesse succedere. Dopo la vicenda sono ripartito con grande umiltà correndo in squadre Continental, anche perché erano le uniche che mi davano la possibilità di correre. Mi sono ritagliato anche in quel caso il mio spazio ed ho ottenuto dei buoni risultati, ma sicuramente non sono più stato il corridore che ero prima”.
Quando è scoppiata la vicenda si è sentito abbandonato dal mondo del ciclismo?
“No, in verità tanti ciclisti mi sono stati vicini. Alcuni magari anche di più rispetto a dei corridori che conoscevo meglio. Ho riscoperto persone e amicizie, ma comunque in generale tutti mi sono stati vicini. Per quanto riguarda le squadre, invece, purtroppo si sa come funziona questo mondo, un giorno ci sei e l’altro sei come il colera. Questo è successo a me come a tanti altri corridori. Però ero consapevole di ciò e quindi non sono rimasto sorpreso”.
Nonostante la bici appesa al chiodo, la sua vita è comunque legata al ciclismo oggi?
“Io sono rimasto nel mondo del ciclismo anche in questi anni. Prima facevo la guida turistica e poi un amico di famiglia mi ha dato l’opportunità di lavorare in una azienda di ciclismo. Anche al giorno d’oggi lavoro nel negozio di Luca Celli (ex professionista ndr). Pratico ciclismo da quando ho 7 anni ed è lo sport che amo. Proprio per questo sono rimasto sempre in questo mondo e la vicenda che mi ha visto coinvolto non mi ha comunque tolto la voglia di rimanerci e di pedalare”.
A cura di Riccardo Zucchi per InBici Magazine