Si potrebbe leggere “Un uomo in fuga – Cent’anni di ciclismo in Sardegna”, di Pietro Picciau.
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Oppure “Gonnosfanadiga” di Mondo Putzolu. Sono solo due dei libri che raccontano le tante storie di ciclisti sardi che hanno saputo suscitare ammirazione per la loro interpretazione eroica del pedale. Come per la storia di Ignazio Aru, nato ad a Pirri nel 1937, che con la squadra dell’Audax ed insieme ad altri 4 ciclisti, tutti sardi, partecipò al Giro di Sardegna del 1960, che si concluse allo stadio Amsicora di Cagliari. O come quelle di Giuseppe Bratzu, Maurizio Carta, Giacomo Fois, Giovanni Garau, Antonio Manca, Emiliano Murtas, Francesco Musa, Natale Pau, Giuseppe Picciau, Alberto Loddo, tutti ex professionisti. Ai quali si aggiungono Luciano Pau e Giuseppe Solla che hanno partecipato ad alcune gare professionistiche, nel 1999, senza avere poi firmato alcun contratto professionistico. Ed ancora Domenico Uccheddu (nelle edizioni del Giro d’Italia del 1930 e 1931), Giovanni Garau (1961 e 1963) e Giuseppe Bratzu (nel 1969).
Non è emozionante? Non è emozionante pensare che Fabio Aru rappresenti la miglior discendenza di una serie di eroi che, seppure avendo negli occhi quello che il cantante e poeta De Andrè ha definito il paradiso, ovvero la Sardegna, non hanno mai risparmiato neppure una goccia di sudore, sui tratti costieri frastagliati come sulle catene montuose più interne?
A Fabio Aru, nato il 3 luglio 1990 in Sardegna a San Gavino Monreale, nella provincia del Medio Campidano, noi di InBici abbiamo deciso di dedicare la copertina dell’ultimo numero di questo 2014. Neppure un attimo di esitazione: è lui l’atleta a cui intendiamo rendere omaggio. Per il carattere, il coraggio, la determinazione, l’applicazione. Doti indispensabili a chi voglia diventare un grande di questo sport; e Fabio Aru, per essere un protagonista assoluto anche del futuro, ha già ampiamente dimostrato di avere tutte le caratteristiche. Compreso, da non sottovalutare avendolo già vinto Basso, Cunego, Cipollini, Indurain, Cavendish e l’immortale Marco Pantani, il Trofeo Bonacossa, che al Giro d’Italia premia l’impresa più bella. Quella di Fabio Aru in questo 2014.
Un talentuoso, forse. Lui che fino al 2008 ha fatto mountain bike e ciclocross, e che nel 2011, con un bel settebello di successi tra i dilettanti, tra cui due Giri della Valle D’Aosta, un signor scalatore, firma un contratto con l’Astana. Un talentuoso che, come i suoi antenati, non si sottrae alla fatica, ma anzi ne fa la divisa da indossare per spingere sempre, una mezza ruota avanti, una pedalata dopo l’altra.
Esattamente come nella cronoscalata del Monte Grappa, Giro Rosa 2014, chiusa al secondo posto, appena 17 secondi dalla Maglia Rosa e trionfatore finale Nairo Quintana. Sempre al Giro di questo 2014 arriva la sua prima, splendida vittoria, quindicesima tappa, da Valdengo a Montecampione. Arriva con un vantaggio di 21 secondi su Fabio Duarte, di 22 secondi su Quintana.
“SpettacolAru” recita un meraviglioso striscione di altrettanto meravigliosi tifosi. A lui, a Fabio Aru, 24 anni e tanta capacità di soffrire puntando il traguardo, là in cima, a lui InBici dedica la sua primissima pagina. Augurando a lui, il miglior talento del nostro ciclismo, che in sella al suo sogno possa realizzare anche quelli dei molti, moltissimi, che a bordo strada o davanti alla tv continueranno a sussultare davanti alle sue gesta.
Fonte iNBiCi magazine