Il Giro d’Italia è sempre una grande festa popolare in cui il rosa si irradia in ogni dove: dai negozi che allestiscono le vetrine in rosa (poche per la verità a Torino) alla gente che passeggia gustando un gelato e magari osservando distrattamente quella Piazza Castello blindata, considerandola come una scocciatura allo “struscio” tornato finalmente alla (quasi) normalità.
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Non tutti sanno che al centro della piazza storica scatta il Giro d’Italia. E che Filippo Ganna sta per indossare la sua seconda maglia rosa consecutiva. Nel tourbillon del contesto – musica a tutto volume, speaker che annunciano il countdown delle partenze dei corridori – noi gironzoliamo nella piazza per ascoltare anche le voci della gente e non solo di direttori sportivi, tecnici, corridori e gente del mestiere. Ovvero la percezione del popolo e della festa come da sempre è stata ritenuta, nazional – popolare.
Il miglior punto di osservazione è quello dell’entrata nella pre-bolla. Perché a forza di bolle e pre-bolle, questo ciclismo sembra stia diventando un gigantesco pallone.
Al varco un ragazzo della sicurezza. Alan il bresciano. Dalle 6 è in piedi e nell’area allestita vigila su chi entra e chi esce. Ha gli occhi stanchi, imperterrito e fiscale verifica chi può entrare e uscire. Ma lui diventa il vero punto di riferimento per chi si trova in Piazza Castello a Torino e scopre per caso che c’è il Giro d’Italia. Perché per noi addetti ai lavori sembra tutto facile e scontato, per il resto del popolo, ovviamente no. Un esaurimento continuo di domande. E le richieste sfilano davanti ad Alan. Che senza mangiare e bere dalle 6 del mattino, ligio al dovere, controlla militarmente l’accesso. “Mi chiedono di tutto – racconta ormai sfinito -. Dalla signora che deve andare in chiesa e l’unico accesso è nella piazza Castello ai gruppi che avevano prenotato da tempo la visita a Palazzo Madama, nel pieno centro della Piazza e invece si trovano l’accesso interdetto dal Giro.
E non erano stati avvisati. A chi mi dice che deve andare a prendersi la bicicletta nel posteggio della bici e si è ritrovato… transennato. A chi invece vuole entrare perché deve salutare un amico che fa parte della carovana del Giro e non lo vede da tanti anni, ma non capisce che non può entrare. Agli anziani in bici da corsa che chiedono se sono partiti gli altri… i colleghi…che sarebbero poi i professionisti attuali. A chi chiede semplicemente che festa stanno facendo o se è il Giro del Piemonte. Oppure c’è chi chiede spiegazioni del perché, se è una corsa dove partono tutti insieme, invece partono uno alla volta. E allora devo spiegare il senso, in due parole, della cronometro. E poi perché non c’è nessuno schermo…”.
Tante le domande, tanta la gente che si accalca lungo il percorso per vedere i corridori, mentre dallo sbarramento laterale gestito da Alan i corridori escono alla spicciolata o in bici o a bordo delle ammiraglie senza che nessuno li riconosca. E lì si avvicina davvero di tutto.
Dal nonnetto con cappello di paglia, camicia azzurra e giacchina beige con un improbabile foulard dai colori sgargianti chiaramente anni Settanta, alla tifosa colombiana praticamente svestita, o comunque solo da una canottierina rosa trasparente con il balcone quasi al vento, che attira gli sguardi dei ragazzi della sicurezza. Forse un tentativo di effrazione della bolla. Insomma il ciclismo è anche questo. Ammirare il popolo multicolore che in un palazzetto al chiuso mai si potrebbe ammirare. Anche questo fa folklore nel ciclismo.
a cura di Tina Ruggeri ©Riproduzione Riservata-Copyright© InBici Magazine