Il primo schivo e riservato, il secondo sfrontato e guascone. Eppure tra i due non c’è mai stata vera antipatia e quegli screzi raccontati dai giornali, secondo El Diablo, “erano soltanto invenzioni alimentate ad arte dai rispettivi entourage”
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Claudio Chiappucci, ancora oggi, se lo chiede: “Non capisco per quale ragione i giornali abbiamo sempre insinuato che, tra me e Pantani, ci fosse dell’astio. In realtà, io e Marco eravamo amici. Diversamente, se due si detestano non vanno in vacanza assieme…”. E lo stesso, più o meno, è capitato con Gianni Bugno, suo “acerrimo nemico” secondo i media dell’epoca e, invece – dice lui – “anche quella rivalità è stata montata ad arte da un certo tipo di stampa che, chissà perché?, sa dare un senso al ciclismo solo se esistono delle rivalità. Vere o presunte, poi, non fa alcuna differenza”.
Dunque, ormai 30 anni dopo le ultime schermaglie sui pedali, la storica rivalità fra Bugno e Chiappucci si riduce – secondo “El Diablo” – ad una semplice boutade giornalistica.
Gli ingredienti classici per allestire il duello, però, c’erano tutti: due corridori agli antipodi sia caratterialmente che sui pedali: Bugno discreto e riservato nella vita, Chiappucci sfrontato e guascone. E sui pedali, Gianni timoroso di andare all’attacco ed attento a dosare le forze, Claudio invece sempre pronto a gettare il cuore oltre l’ostacolo, aggredendo le salite anche a costo di scoppiare. Due corridori fantastici, che hanno vinto molto e che hanno avuto soltanto una disgrazia comune: quella d’imbattersi negli anni ’90 in un mostro del ciclismo come Miguel Indurain, l’uomo che – in maniera equa – ha tolto ad entrambi più di un Giro e più di un Tour.
Ma torniamo alla presunta rivalità fra il monzese ed il varesino. Il nastro della storia va riavvolto fino al 1990, quando Bugno – dopo quattro anni di digiuno – riporta l’Italia a vincere un Giro. Per Gianni è la ciliegina su una stagione trionfale, già segnata per lui dai successi al Giro dell’Appennino, della Milano-Sanremo e del Giro del Trentino. Quello stesso anno, nella corsa rosa, si fa notare un grimpeur semi-sconosciuto che, attacco dopo attacco, s’impone nella classifica degli scalatori. Il suo nome è Claudio Chiappucci e, anche se in bicicletta ha una postura poco elegante, si capisce subito che ha le stigmate del predestinato.
Si arriva al Tour de France, edizione numero 77, dove Bugno – noblesse obblige – parte con i favori del pronostico. A sparigliare le carte una fuga-bidone che lancia proprio Chiappucci in maglia gialla. Il corridore varesino, con il simbolo del primato addosso, per una settimana viene celebrato dai media di tutto il mondo, mentre Bugno, relegato ad un ruolo di comprimario, perde fiducia e minuti in classifica.
In Italia, i giornali parlano già di “avvicendamento al vertice” e di “passaggio di consegne”, ma tra Bugno e Chiappucci non ci sono livori né particolari antipatie, se non quelle fisiologiche che, da sempre, accomunano i campioni che corrono per squadre avversarie: “In realtà – spiega oggi El Diablo – a metterci contro furono semmai i nostri due entourage. Ma tra me e Gianni, fuori dalle corse, non c’è stato mai un vero screzio, tant’è vero che, oggi, ci frequentiamo regolarmente e siamo diventati anche amici”.
Alla fine, tra due litiganti il terzo gode, ed il Tour 1990 se lo aggiudica Lemond dopo avere ordito una trappola contro Chiappucci a Saint Etienne ed aver completato il suo capolavoro tattico sul terreno a lui più congeniale della cronometro. Chiappucci riporta dopo 18 anni l’Italia sul podio della Gran Boucle, mentre Bugno, malgrado un successo di tappa a Bordeaux, torna a casa deluso per un settimo posto in classifica generale che non poteva appagarlo: “Ma io corsi per me stesso – conclude Chiappucci – non certo contro Gianni Bugno…”.
a cura della Redazione Copyright © Inbici Magazine ©Riproduzione Riservata
Al Tour del 1990 Gianni Bugno vinse anche sull’Alpe d’Huez, non solo a Bordeaux.