Cadde il microfono, emise un tonfo sordo. Luccicarono gli occhi, assieme agli ultimi raggi del sole parigino, arrampicato sull’Arco di Trionfo. Lungo i Campi Elisi una luce quasi olimpica; in fondo, è un luogo divino. E le divinità, si sa, scommettono coi miracoli. Parliamoci chiaro, che quel microfono sia caduto volontariamente da quelle determinate mani al termine del discorso che spetta a chi vince il Tour de France, non è un miracolo.
Geraint Thomas è tutt’altro che un miracolato, è uno che merita quello che ha. Lo chiamano G, pronunciato “gi”. Un soprannome affettuoso per un ragazzo dalla grande riservatezza da molti scambiata per arroganza e antipatia. Ma è solo carattere, è solo orgoglio; come quello di quel drago rosso che sputa fiamme sulla bandiera del Galles, dove G è nato.
Eppure, quello che Parigi ha fotografato, sa di miracolo sportivo. Forse perché Geraint non è quasi mai stato considerato un capitano, ma solo una risorsa da sfruttare sino all’ultima goccia per qualcuno reputato più forte e solido di lui. E’ cresciuto gregario, G. E’ uno che al Tour de France non ha mai badato alla posizione in cui tagliava il traguardo; l’essenziale era che il capitano passasse prima di lui e, se possibile, prima di tutti gli altri. Ha messo sempre gli altri davanti a lui, tacendo le gambe quando avrebbero voluto portarlo più avanti.
“Sognate in grande, tutto è possibile” sussurrò il gallese orgoglioso al microfono, prima di lasciarlo andare. G, che dopo essere arrivato terzo nella cronometro conclusiva, ha detto che lo spazio nel suo giorno più bello è stato occupato dal suo matrimonio. G, che è poi scoppiato in lacrime, di felicità, di agitazione e frustrazione soffocate nell’angolino remoto dell’anima fino alla penultima striscia d’arrivo. L’ultima, a Parigi, sarà diversa. Non come quella dell’Alpe d’Huez, che da ora in poi avrà un tornante chiamato Geraint Thomas, vincitore del Tour de France.
Se la pioggia ha minacciato i corridori per quasi tutto il giorno, dove pareva quasi di essere in un pomeriggio autunnale, con anche le foglie secche ai bordi dei Campi Elisi, è esploso alle spalle del podio il bollente sole estivo. E su quell’ultima linea bianca, Geraint ha cercato Chris, con cui ha condiviso tre settimane durissime, anche a causa dell’ignoranza dei fischi e degli insulti che alcuni tornanti e chilometri di strada hanno loro riservato. E il tonfo sordo del microfono che cade sul podio ha coperto tutto.
Arrivò un giorno di sole all’improvviso a Parigi, e arrivò nel giorno, sportivo, più bello di G.
a cura di Giulia Scala Marchiano per iNBiCi magazine