Quella che fino a pochi giorni fa era considerata soltanto un’ipotesi suggestiva, romantica e un po’ retrò oggi sembra prendere forma: ritorno al futuro, il gravel entrerà nel ciclismo professionistico, almeno questa è l’intenzione confermata dal presidente dell’Unione Ciclistica Internazionale David Lappartient, che ha annunciato questa novità una settimana dopo l’incontro con Giancarlo Brocci, inventore dell’Eroica e grande sostenitore dell’idea che aveva illustrato andandolo a trovare ad Aigle, in Svizzera, nel quartier generale dell’UCI.
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La notizia, pubblicata dall’Adnkronos a firma di Paolo Bellino, è stata carpita nel corso di una conferenza stampa del Tour Down Under in Australia, quando Lappartient rispondendo a chi gli chiedeva se questa proposta avesse un futuro ha detto: “Penso proprio di sì, ne abbiamo discusso ed è qualcosa a cui stiamo lavorando. Stiamo lavorando su questo, perché in UCI crediamo che nel gravel ci sia un vero futuro e un enorme potenziale”.
D’altra parte il “ciclismo eroico” delle origini che ha forgiato tanti campioni indimenticati e indimenticabili è sempre rimasto nel codice genetico di questo sport che anche oggi – nonostante le tecnologie e i materiali in continua evoluzione – resta saldamente ancorato al concetto di fatica, abnegazione e spirito di sacrificio. Perché gesti come il passaggio della borraccia tra Coppi e Bartali o il piede a terra di Michele Scarponi per aspettare Vincenzo Nibali e portarlo alla vittoria finale non hanno tempo e ci riportano alle origini: al senso profondo della proverbiale solidarietà tra ciclisti che condividono gioie e dolori della strada.
Questa apertura da parte del numero uno dell’UCI è stata accolta molto positivamente da Brocci, che all’Adnkronos ha sottolineato le ragioni di questa sua richiesta: “All’incontro di Aigle con Lappartient ho rappresentato un pensiero, un popolo ed una storia. Ho parlato di ciclismo eroico, di ciò che abbiamo messo in movimento da un quarto di secolo, dell’idea di recuperare strade dimenticate, a partire da quelle senza asfalto, veicolando un messaggio di ricerca di libertà, di sicurezza, di necessità di togliere uno sport così grande dall’assedio del motore e, troppo spesso, dell’inciviltà”.
La proposta che aveva avanzato Brocci all’UCI è davvero un ritorno al passato: la ghiaia (gravel) delle strade bianche, la mancanza di assistenza e le riparazioni in autonomia, partenze anche in notturna e rifornimenti solo a terra e grasso corporeo degli atleti non inferiore al 6%. Creare un circuito professionistico gravel, alternativo al trittico Giro/Tour/Vuelta, riscoprendo strade dimenticate e territori inesplorati: con tappe anche molto lunghe, oltre i 300 chilometri, senza alcuna assistenza meccanica né l’ammiraglia al seguito.
Un ritorno al passato che però guarda anche al futuro: inutile nasconderlo, le gare di ciclismo sportivo su strada sono diventate noiose, a parte qualche guizzo e/o imprevisto che può sparigliare le carte troppo spesso le tappe procedono piatte piatte, come un copione già scritto, relegando lo spettacolo al momento della fuga del gruppo di testa e alla volata finale al fotofinish sulla linea del traguardo.
fonte BikeItalia.it