Ivan Basso, ciclisticamente parlando… un nome una garanzia. Ma soprattutto una firma impressa a fuoco nel mondo del ciclismo prima da corridore (ricordiamo tra mille imprese i suoi due Giri d’Italia) e poi come apprezzatissimo dirigente della Eolo-Cometa, inesauribile miniera di talenti del nostro ciclismo. Con lui, nel cuore di una stagione spettacolare, abbiamo ripercorso le pagine più belle di questa annata, soffermandoci in particolare sui giovani talenti.
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Ivan, che bilancio puoi tracciare della stagione della Eolo-Kometa?
“Il bilancio ad oggi è estremamente positivo. Il Giro d’Italia è stato eccellente per noi. Non mi era piaciuto l’inizio della stagione, anche se c’erano delle scusanti legate in particolare all’infortunio di Albanese, poi dal Giro di Sicilia alla Tirreno-Adriatico tutti i nostri ragazzi sono stati molto bravi. Per noi la stagione non è ancora finita, abbiamo un agosto di raccordo, poi contiamo di fare bene nell’ultima parte dell’anno dove possiamo dire la nostra”.
Siete dunque pronti alla volata finale della stagione…
“Noi abbiamo un gruppo che riabbraccerà Fortunato ed Albanese. Poi c’è tutto il gruppo dei giovani, da Pinazzoli a Terzero, da Martin a Bais. Saranno queste giovani leve la spina dorsale della squadra del 2024”.
Quanto è importante per voi lavorare con i giovani, guardare sempre al futuro crescendo i ragazzi in casa?
“La nostra è una scelta strategica. Creiamo i campioni del futuro e dobbiamo curare, passo dopo passo, la loro crescita sportiva ed umana.Atleti come Juan Pedro Lopez, Moschetti ed Oldani siamo stati obbligati a cederli perché non avevamo ancora la struttura per mantenerli, ma se a quel tempo avessimo avuto l’organizzazione di oggi sarebbero ancora qui. Tanti corridori che adesso stanno facendo ottimi risultati nelle loro squadre attuali sono cresciuti con noi. E i nostri indicatori dicono che molti dei nostri giovani attuali sono su quel livello, ossia giovani di eccellenti potenzialità. Però la differenza è che, stavolta, li abbiamo tenuti noi. Per questo non abbiamo necessità di fare un grande mercato perché la qualità ce l’abbiamo già in casa. Da noi la sfida è mantenerli i talenti piuttosto che andarli a prendere. Poi c’è la novità relativa alla nuova sponsorizzazione con Polti per il quale non entro nel merito adesso. Però è chiaro che i progetti di qualità si fanno con i budget e dunque per il futuro non posso che essere ottimista”.
Il ciclismo italiano sta facendo fatica a tornare a suoi fasti. Quanto questo deve essere uno stimolo nel trovare campioni?
“C’è solo un modo per risolvere questo stallo generazionale e sicuramente non è quello di lamentarsi tirando fuori le solite, stucchevoli storielle, ovvero che in Italia mancano le strutture, manca il World Tour e le solite cose. Più che lagnarsi, bisogna rimboccarsi le maniche e provare ad invertire la rotta pensando non a cosa manca, ma a quello che c’è. Parlando con i miei collaboratori ed analizzando la situazione abbiamo visto che i numeri del ciclismo sono buoni in termini di ritorno, i numeri del Giro sono positivi e allora la domanda sorge spontanea: com’è possibile che tutto sia positivo ma il sistema non va? Partendo da questa riflessione ci siamo messi a lavoro e oggi siamo riusciti a riportare nel ciclismo una azienda molto importante. Molti si sono stupiti di questo, ma la verità è che gli sponsor bisogna saperli attirare con progetti credibili”.
Al Giro hai visto da vicino Primoz Roglic al Tour de France c’erano Jonas Vingegaard e Tadej Pogačar. E’ così grande il gap tra loro e il resto del gruppo?
“Ci sono questi cinque – sei corridori che, almeno oggi, hanno veramente una marcia in più. Le individualità ci sono sempre state, però le squadre si stanno attrezzando sotto tutti i punti di vista: oggi abbiamo gli analisti che elaborano i dati della squadra e vanno alla ricerca della perfezione sulla bici, sui caschi e su tutti i materiali. I soldi sono sempre fondamentali, ma non bastano più, ci vogliono anche le idee che poi vanno scaricate a terra. Ma per fare questo servono persone competenti e d’esperienza in grado di tradurre le idee in realtà”.
Se guardiamo al Mondiale l’Italia può dire la sua?
“Assolutamente sì. Sono d’accordo con quello che ha detto Daniele Bennati: in una gara secca l’Italia può vincere. Io sono certo, perché l’hanno dimostrato ampiamente, che i nostri atleti possono correre in modo compatto e, se quel giorno trovano la giusta alchimia, può accadere di tutto. Abbiamo atleti che possono andare a medaglia, che hanno vinto corse. Tutto questo, unito alla squadra, può fare la differenza”.
Sei ottimista sulla rinascita dei nostri talenti?
“Non si può non esserlo. Ma non è un esercizio di fede, piuttosto l’esito di una riflessione che è sotto gli occhi di tutti. Il talento c’è, il problema è che va aspettato. Io sono convinto di avere in squadra almeno 3 corridori (uno è italiano) che, se metto i loro cognomi in una busta chiusa, questi nei prossimi 3 anni sono tra i più bravi d’Europa. Ne ho la certezza. Il problema è che ognuno ha i suoi tempi per sbocciare: c’è chi verrà fuori in un anno e chi in tre. Bisogna essere capaci di aspettare, al talento va dato il tempo per maturare. A tal riguardo, il lavoro in pista sta dando i suoi frutti. Ad oggi non abbiamo ancora il Bettini o il Nibali di turno, anche perché non è proprio così semplice sostituire due così e poi ci sono i cicli naturali che un decennio regalano il campione e l’altro no. Il punto allora è lavorare sui settori giovanili, ma non con le chiacchiere. Bisogna finanziare le squadre minori, così come noi facciamo con la scuola ciclismo, la Juniores, l’Under 23 e i pro. E poi diamo un contributo alla Bustese che fa esordienti Allievi e Allievi Juniores. Ma se lo fa uno, il movimento non cresce. Servono più progetti. Chi dice che non c’è nulla dovrebbe andare a vedere cosa fanno i settori giovanili nella zona di Bergamo e Brescia, sono stati costruiti dei ciclodromi. Va fatto un applauso a chi vuole fare ciclismo, bisogna sostenere i progetti e le idee. E vedrete che, prima o poi, raccoglieremo i frutti”.
A cura di M.M. – Copyright© InBici Magazine ©Riproduzione Riservata