Gimondi, trionfatore al Tour del 1965, sembrava il più forte. Ma tre anni dopo il ciclismo scopre un gigante di nome Eddy Merckx. Che cambierà per sempre la storia di questo sport.
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“Sono nato nell’epoca sbagliata“. Lo diceva – e lo dice ancora – Felice Gimondi, riferendosi al campionissimo che gli tolse almeno la metà dei sorrisi: “Mi ritenevo il numero uno, poi però nel ’68 è arrivato uno che ha iniziato a menarmi di brutto, questo lungo e grande atleta belga che andava forte dappertutto, soprattutto da dicembre a gennaio. Eddy Merckx – è il dolce rimpianto di Gimondi – era una macchina nata per vincere. Forse se non l’avessi trovato sulla mia strada anche io avrei vinto cinque giri d’Italia e due Tour de France“.
In ogni caso, la rivalità fra Gimondi e Merckx resta uno dei dualismi più eccitanti della storia del ciclismo moderno. Dal 1964 al 1978, i due fenomeni hanno scritto la storia di questo sport. Certo, mentre tra Coppi e Bartali o tra Moser e Saronni nessuno può davvero dire chi fosse il più forte, tra i due campioni degli anni ’70, il “Cannibale” – come certifica il palmares – aveva senza dubbio qualcosa in più. Gimondi era un campione, Merckx un fenomeno. Gimondi un fuoriclasse, Merckx un marziano.
“Abbiamo corso insieme tanti anni – ha detto il belga in occasione dei 70 anni del rivale – e sono stati anni di battaglie, di scontri all’ultimo chilometro, di duelli d’altri tempi. Penso che sia stato bello gareggiare insieme, erano battaglie sportive che esaltavano noi corridori e la gente che ci seguiva per strada. Poi poteva vincere uno o poteva vincere l’altro. Anche se – amava ripetere il fiammingo con una punta di civetteria – spesso vincevo io. Senza di me probabilmente Felice avrebbe vinto di più“.
Parole sante, anche se – all’epoca – i campioni non mancavano. Pensiamo a De Vlaeminck, Godefroot, Poulidor, Ocana, Dancelli, Motta, Bitossi, Adorni. Tutta gente che, quando era in giornata, poteva battere chiunque. Certo, Gimondi – rispetto a questi – aveva qualcosa in più. Era un ciclista costruito per vincere: vinceva in salita, a cronometro e talvolta è capitato che vincesse anche in volata. Ma Merckx era comunque di una spanna superiore e, quando decideva che quella corsa doveva essere sua, non falliva mai.
Eppure Gimondi la superiorità di Merckx l’ha ammessa, con chiarezza, solo quando ha appeso la bicicletta al chiodo. Prima, quando correva, non si è mai arreso, neppure all’evidenza. Con la tenace testardaggine di tutti i bergamaschi, ha lottato chilometro dopo chilometro con il rivale, buttando il cuore oltre l’ostacolo. Quando Merckx inseriva la marcia e faceva il vuoto, lui – con tenacia ed eroismo – continuava a pedalare del suo passo, stringeva i denti, lottava con l’acido lattico e poi, dopo il traguardo, faceva i complimenti e ai microfoni diceva: “Sono stato il più forte. Tra quelli di questo pianeta…”.
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