In questo periodo di pausa dall’attività agonistica abbiamo fatto visita in casa Bardiani-CSF, e abbiamo avuto modo di fare una lunga chiacchierata con il direttore sportivo Roberto Reverberi. Con lui abbiamo affrontato diversi argomenti, non solo per ciò che riguarda la squadra ma anche per ciò che concerne la situazione del ciclismo più in generale. Riportiamo di seguito l’intervista rilasciata per la trasmissione radiofonica “Ultimo Chilometro”, disponibile cliccando qui dal minuto 35.
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Roberto, immaginiamo tu sia in vacanza. Speriamo di non averti disturbato.
“Non sono in vacanza, anzi, questo è il periodo in cui si lavora di più, già da due mesi stiamo lavorando alla nuova stagione per la sistemare pratiche burocratiche, sistemare le bici, ordinare l’abbigliamento e sistemare i mezzi. Facciamo tutto in questo breve periodo ed è molto impegnativo”.
Facciamo un bilancio della stagione 2018. Sei soddisfatto?
“Direi che con il livello altissimo del ciclismo che c’è ora non ci possiamo lamentare, abbiamo ottenuto una decina di vittorie e sicuramente siamo andati meglio dello scorso anno in quanto i nostri ragazzi erano davvero molto giovani e quest’anno, con una stagione in più nelle gambe, sono riusciti a fare meglio. Emergere sui grandi palcoscenici non è facile nemmeno per alcune squadre World Tour, perché alla fin fine sono sempre quelle 4 o 5 che vincono”.
In effetti ci sono squadre World Tour che hanno ottenuto meno successi di voi: ci confermi questo trend?
“E’ così, basta vedere le gare più importanti, poi è normale che nelle gare di secondo piano chi ha un budget elevato riesce ad emergere su di noi. Però se prendiamo gli appuntamenti importanti ci sono sempre la Sky, la Quick Step, l’Astana e poche altre che riescono sempre a dominare e agli altri restano le briciole. Per sponsor che spendono così tanto immagino ci sia voglia di emergere e di ottenere qualche risultato importante. Se prendiamo una squadra come la Katusha-Alpecin, quest’anno ha vinto meno di noi pur avendo un budget molto elevato”.
Però anche quest’anno siete riusciti a lanciare un giovane talento che il prossimo anno sarà in una World Tour, Giulio Ciccone. Continuerete su questa strada?
“Il problema è che non è facile andare a prendere dei giovani corridori. Noi stiamo proseguendo da molti anni con la filosofia del #GreenTeam, ovvero una squadra che permetta ai giovani corridori di crescere, il fatto è che spesso siamo stati vicini a prendere dei ragazzi di talento che però, appena ricevuta un’offerta da una squadra World Tour, anche se la differenza di ingaggio era poca hanno deciso di andare lì. I ragazzi preferiscono andare subito nella grande squadra piuttosto che crescere un po’ alla volta. Ci sono molti nostri ex corridori che sono riusciti a crearsi un’ottima carriera nelle squadre di prima fascia, come Modolo, Colbrelli, Pozzovivo e Brambilla. Credo che questo nostro lavoro venga apprezzato dalla Federazione, dagli organizzatori e da RCS in particolare. Facciamo un lavoro produttivo per il ciclismo italiano: se mancano squadre come la nostra passerebbero i Moscon di turno, ma quelli che non sono di primissimo piano cosa farebbero?”.
Nell’ultimo periodo gli organizzatori sembra stiano spingendo le Professional italiane a diventare più “internazionali”, ovvero provare a chiedere inviti in corse come quelle del Belgio o alla Roubaix. Qual è il tuo parere al riguardo?
“Prima di tutto se si va ad affrontare quelle gare bisogna partire con la mentalità giusta e con i corridori adatti per fare determinate corse, perchè se non sono adatti rischi di andare là e ritirare l’ammiraglia a metà corsa. Non è facile prendere parte alle corse in Belgio, soprattutto perché gli organizzatori locali danno la priorità alle loro squadre, quindi è difficile ottenere gli inviti. In passato, quando avevamo corridori come Pieri, Casarotto, Balducci e tanti altri, riuscivamo ad andare su e fare bene. Quelle corse sono un mondiale, e chiudere nei primi 10 è già un grandissimo risultato. Bisogna iniziare a lavorare fin da quando i ragazzi sono giovani: se le squadre Under 23 diventassero Continental e riuscissero a far fare ai ragazzi delle corse all’estero, è possibile testare il loro talento per queste gare e magari provare in futuro a investire su di loro”.
A cura di Carlo Gugliotta per InBici Magazine