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LO SPORT: UNA “SANA DIPENDENZA”?


L’attività fisica è un’eccellente alleata contro l’invecchiamento neuro-cellulare, ma in alcuni casi può degenerare in una “dipendenza ossessiva” che può sfociare, tra astinenza e “sindrome da overtraining”, in una vera e propria patologia mentale

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Ci si può drogare di cose buone e una di queste è certamente lo sport” (Alex Zanardi)

Siamo abituati ad assistere quotidianamente a messaggi veicolati su diversi canali informativi, quali televisione, radio, giornali e riviste, che sottolineano come l’obesità sia diventata una patologia molto diffusa nella cosiddetta società “del benessere”. Insieme ad essa, altre malattie metaboliche – quali diabete, ipercolesterolemia o patologie di natura cardiovascolare, tra cui l’ipertensione –  trovano un trattamento non solo nell’uso di farmaci specifici, ma anche in quella che può risultare come la “terapia” d’eccellenza: lo sport.

In particolar modo, sport aerobici di resistenza, quali corsa e ciclismo, se praticati con continuità e sistematicità, possono scongiurare, ritardare o avere potere riabilitativo nei confronti di diversi tipi di patologie. Oltre che consigliato per la salute fisica, lo sport costituisce infatti una risorsa naturale estremamente importante anche per la salute mentale.

Considereremo brevemente i benefici sia sul versante cognitivo che sul tono dell’umore. Quest’ultimi introdurranno al tema dell’exercise addiction (EA), ovvero la dipendenza dall’attività fisica.

ESERCIZIO FISICO, CERVELLO E ATTIVITA’ COGNITIVA

Studi su animali dimostrano che l’esercizio fisico migliora la sopravvivenza neuronale e la resistenza agli insulti cerebrali, promuove la vascolarizzazione nervosa, stimola la neurogenesi, migliora l’apprendimento e contribuisce al mantenimento delle funzioni cognitive durante l’invecchiamento. Secondo recenti studi infatti, l’esercizio fisico induce l’espressione di geni associati alla plasticità neuronale, come ad esempio il BDNF (Brain Derived Neurotrophic Factor, che funge da nutrimento per le cellule nervose) a livello ippocampale.

Ciò che promuovo spesso, in qualità di neuro scienziata, è che il cervello è un organo e, in quanto tale, la maggiore vascolarizzazione conseguente ad una attività aerobica, determina una migliore ossigenazione ed una ottimizzazione del nutrimento delle reti neurali e quindi del loro funzionamento, un po’ come accade per altri organi, come il cuore o tessuti, come quello muscolare.

ESERCIZIO FISICO E TONO DELL’UMORE

I cambiamenti psicologici associati ad una prolungata attività motoria vengono sintetizzati con i termini “runner’s high”. La sua traduzione in italiano, “euforia del corridore”, viene descritta come esperienza soggettiva di felicità, euforia, senso di unità e appartenenza con se stessi e la natura, sensazioni di appagamento, calma, armonia interiore, energia illimitata e riduzione del dolore. Questo tipo di racconto soggettivo è molto simile a quello proposto da persone che fanno uso di droghe e vivono stati di trance.

In effetti, questa somiglianza viene ben spiegata dalle modifiche  neurobiologiche prodotte dall’attività fisica: catecolamine (dopamina, adrenalina e noradrenalina), serotonina, endorfine (definite come “molecole del piacere”) ed endocannabinoidi, costituisco la “tempesta biochimica”  che determina importanti cambiamenti nell’assetto del sistema nervoso centrale, che porta a sua volta al vissuto soggettivo sopra descritto. Esiste una stretta interazione tra il sistema endocannabinoide e dopaminergico nelle strutture cerebrali implicate nel cosiddetto “sistema del piacere e della ricompensa”, responsabili del comportamento di dipendenza da sostanze (come droga, sesso, cibo, alcool).

Gli aspetti sino ad ora elencati forniscono una breve panoramica sul perché l’attività fisica, e quindi la pratica di uno sport aerobico, produca numerosi vantaggi per la salute fisica e psicologica di ogni persona. Per questo l’opinione pubblica incoraggia lo sport come abitudine di vita, come stile di comportamento da diffondere e rinforzare.

DIPENDENZA DA ESERCIZIO FISICO: NORMALITA’ O PATOLOGIA?

Tuttavia vi sono studi che suggeriscono l’espansione di alcuni comportamenti a rischio tra i praticanti attività fisica a livello amatoriale: doping, uso/abuso di integratori per lo sport , e il fenomeno dell’ EA ovvero “dipendenza patologica da esercizio fisico”. Quest’ultima rientra nelle cosiddette dipendenze comportamentali , in cui l’oggetto non è in tal caso una sostanza chimica, bensì un comportamento che il più delle volte è socialmente accettato, anzi rinforzato da alcuni canali d’informazione, come ad esempio il gioco d’azzardo. La loro crescente espansione è testimoniata dai nuovi recenti cambiamenti apportati nel DSM-5 (manuale diagnostico dei disturbi mentali).

Nello specifico, l’EA determina il cosiddetto “paradosso dello sport”, ovvero la trasformazione di un comportamento di svago, di sviluppo e di creatività in una schiavitù, mutando in dipendenza un’attività che, se praticata secondo tempi e programmi adeguati, è in grado di sostenere lo sviluppo, la riabilitazione e persino la lotta ad alcune forme di abuso.

La dipendenza dall’esercizio fisico è stata individuata come un insieme di abitudini mal adattive che possono comprendere, similmente alla diagnosi classica prevista nell’ambito delle tossicodipendenze, tre (o più) tra le sette condizioni seguenti:

1. tolleranza, bisogno di aumentare i tempi di allenamento progressivamente per raggiungere le stesse sensazioni di beneficio psicofisico o per evitare effetti sgradevoli legati alla mancanza del movimento abituale;

2. astinenza, sintomi fisici e psicologici caratteristici, rappresentati soprattutto da irritabilità, disturbi dell’umore e tensioni fisiche;

3. prolungamento degli allenamenti rispetto alle previsioni iniziali;

4. perdita di controllo, manifestata generalmente con tentativi infruttuosi di ridurre l’attività fisica;

5. presenza di una grande quantità di tempo speso in attività connesse allo sport (sia concrete che cognitive);

6. riduzione di altre attività importanti, quali quelle sociali, lavorative o ricreative, con frequente compromissione di tali aree di vita;

7. allenamento continuativo, nonostante la consapevolezza di avere un problema fisico o psicologico esacerbato dall’eccesso fisico (per es. overtraining, infortuni).

Una “normale dipendenza” dall’esercizio fisico è strettamente connessa alle modificazioni fisiche e chimiche “positive” (in quanto funzionali per l’organismo) che lo sport è in grado di generare. In questi casi se la persona è costretta, per qualche ragione, ad interrompere bruscamente le proprie abitudini sportive mostrerà comunque sintomi, anche fisici, di astinenza dall’allenamento. Nella “dipendenza patologica”, l’attività fisica è necessaria per conferire all’esistenza stessa un significato e si applica a quelle condizioni di ossessione in cui emergono tendenze autodistruttive e stili mal adattativi di vita, ovvero non più funzionali alla salute psicofisica dell’individuo stesso.

L’”addicted” non attribuisce importanza alle conseguenze dell’attività sportiva eccessiva, sino a giungere gradualmente al deterioramento della salute e del funzionamento della propria vita sociale, affettivo-familiare e/o lavorativa. Molto spesso l’abuso dell’allenamento fisico è accompagnato da quella nota come “sindrome da overtraining”,  caratterizzata da uno squilibrio fisiologico causato da un’attività fisica eccessivamente intensa e frequente, tale da non consentire all’organismo un recupero energetico e neurobiologico adeguato per la fatica accumulata.

L’EA ha evidenziato un’associazione con altri disturbi clinici, tra cui anoressia e bulimia nervosa o ancora ortoressia (abitudine ossessiva a nutrirsi di cibi sani) o bigoressia (una forma di dismorfismo corporeo che colpisce per lo più i praticanti di body building, ovvero la tendenza a non percepirsi “abbastanza grandi” dal punto di vista dello sviluppo muscolare).

Per concludere, come ben sanno gli operatori della salute, spesso non è possibile tracciare una linea di demarcazione precisa e distinta tra normalità e patologia: il contesto ambientale, sociale, affettivo e lavorativo, determinano spesso stili e percorsi di vita in cui il passaggio tra salute e malattia si trova lungo un continuum dimensionale e dinamico non facilmente distinguibile.

Ciò che amo sottolineare, anche nella personale attività clinica come psicoterapeuta, è la FUNZIONALITA’ di un comportamento, ovvero il suo essere diretto ad un obiettivo, che possa essere il più chiaro e distinto possibile. La salute si definisce non solo rispetto al singolo individuo in sé, ma abbraccia la sua dimensione sociale, ovvero il suo essere in una rete familiare ed affettiva, oltre che lavorativa.

Sport e attività fisica sono terapia per il corpo e la mente, purché lascino spazio ad altre dimensioni naturali dell’essere umano, che andranno coltivate con la stessa dedizione e passione. Come dicevano saggiamente i latini: “mens sana in corpore sano”, ma direi anche “corpo sano in mente sana”.

“… un tipo di sforzo che non nasce da un’imposizione, ma da un impulso veramente libero e generoso della potenza vitale: lo sport. […] Si tratta di uno sforzo lussuoso, che si dà a mani piene senza speranza di ricompensa, come il traboccare di un’intima energia. Perciò la qualità dello sforzo sportivo è sempre egregia, squisita” – José Ortega Y Gasset

A cura della Dott.ssa Manuela Ansaldo, Dottore di Ricerca in Neuroscienze, Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale e Psicologa dello Sport

manuela.ansaldo@gmail.com

www.psicolistica.it

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