Andermatt, Svizzera. E’ il 13 giugno 2021 ed al Tour de Suisse si appresta a partire l’ultima tappa, la più impegnativa, con ben tre passi da scalare: Oberalppass, Lucomagno e San Gottardo dalla Val Tremola. Le squadre salgono sul palco una alla volta e l’ultima di esse è la Ineos-Grenadiers della Maglia Gialla, un ecuadoriano che in Italia abbiamo imparato a conoscere al Giro, di cui ha vinto anche una edizione: Richard Carapaz.
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Mancano pochi minuti al via ed insieme ad alcuni colleghi ci avviciniamo a Richard salutandolo ed iniziando a chiacchierare come se lui fosse uno dei nostri più cari amici, davanti a un caffè o a una birra fresca. Invece avevamo di fronte un ciclista che poche ore dopo vinse quel Giro di Svizzera festeggiando davanti ai suoi tifosi. La grandiosità di questo ragazzo ecuadoriano soprannominato “La locomotora de Carchi” sta nella sua umiltà, che passo dopo passo lo ha portato nell’olimpo dei grandi campioni finendo terzo al Tour de France meno di una settimana fa ed ora alla medaglia d’oro a Tokyo 2020.
L’amore che i suoi sostenitori provano nei suoi confronti è pari a quello per un eroe nazionale: orgoglio di un Paese che oggi ha ottenuto il suo secondo oro nella storia dei Giochi Olimpici e che verrà festeggiato sicuramente al suo ritorno nella terra natia. Essere stato capace di battere i due grandissimi favoriti della vigilia, Tadej Pogacar e Wout Van Aert dà all’impresa di Richard un sapore ancora più dolce: il pressing del belga prima di rientrare nel circuito automobilistico del Fuji aveva ridotto al lumicino le speranze di vittoria, che sono diventate concrete e certe una volta che l’ecuadoriano è scattato mollando l’americano McNulty andandosene tutto solo verso l’arrivo.
Questo è l’oro più bello, quello olimpico. E Richard se lo è meritato tutto.
A cura di Andrea Giorgini Copyright© InBici Magazine ©Riproduzione Riservata