La sua ossessione è catturare l’attimo fuggente, quell’istante da immortalare con rapinoso tempismo nella memoria della sua macchina digitale. Quella di Matteo Secci è una vita condannata ad inseguire il “carpe diem”, sempre alla spasmodica ricerca della foto perfetta, quella che può farti fare il salto di qualità e proiettarti, come d’incanto, nell’olimpo dei maestri dell’immagine.
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Fotografo emergente del ciclismo, Matteo Secci nasce il 22 febbraio del 1998 a Stiges, un piccolo paesino della Catalogna, anche se ha vissuto quasi sempre a Torino. Adora la fotografia ciclistica, una passione per la quale sta studiando da diversi anni. E’ all’ultimo anno di università ed è ormai prossimo alla laurea. Una formazione la sua tra libri e strada per diventare anche lui un professionista dello scatto.
Matteo, partiamo dal momento più gratificante: quella foto di Tadej Pogacar al Tour de France 2019 che, due anni dopo, il campione sloveno ha pubblicato sulle sue pagine social…
“E’ stato un momento molto bello perché, al di là della soddisfazione personale, significa che quella foto, che per altro sul web era già diventata virale, aveva qualcosa di speciale. Pogacar è un personaggio sempre molto fotografato, quindi se ha scelto, tra tante, la mia immagine vuol dire che sono stato bravo e che il messaggio è arrivato”.
Vieni considerato uno dei giovani fotografi emergenti più bravi…
“Non è mondo semplice, c’è tanta competizione ed emergere è sempre complicato. Il mio obiettivo è quello di riuscire a trovar spazio nel mondo dello sport, in particolare nel ciclismo. Al momento mi sto laureando in fotografia alla Libera Accademia di Belle Arti di Brescia, dove sto provando ad integrarmi in alcuni progetti. Io ci metto tutto l’impegno possibile, ma per affermarsi in questo settore serve anche un po’ di fortuna”.
Dove scatti di solito?
“Per conciliare gli impegni di studio, fino ad oggi, ho sempre privilegiato le corse italiane, anche se, una volta laureato, mi piacerebbe iniziare anche a scattare all’estero. Un’esperienza che mi ha formato parecchio è stata sicuramente quella al Tour del 2015, quando ho lavorato come assistente nell’ultima settimana della Grand Boucle, facendo quindi le tappe più prestigiose, compreso l’arrivo a Parigi sugli Champs Elysées. Durante quell’esperienza ho capito molte cose e mi sono convinto che quella sarebbe stata la mia strada”.
Hai partecipato, fino ad oggi, a diversi concorsi fotografici: una scelta per capire il tuo livello o per cercare delle nuove opportunità?
“Un po’ tutte e due. Il punto di riferimento per tutti i giovani fotografi di ciclismo è, senza dubbio, la rivista Sprint Cycling Magazine di Roberto Bettini. Per me è stata una grande soddisfazione essere pubblicato su quelle pagine dove vengono selezionate soltanto le immagini più spettacolari”.
Le tue origini sono spagnole e catalane: potrebbe aiutarti nel tuo lavoro da fotografo?
“Certamente parlare bene lo spagnolo potrà essermi utile anche perché, oltre alla Vuelta, la Penisola Iberica è, da sempre, una delle aree del mondo dove il ciclismo è più amato”.
a cura di Leonardo Serra©Riproduzione Riservata-Copyright© InBici Magazine