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PAGINE GIALLE:  UNO SCATTO VAL BEN 550MILA LIRE
PAGINE GIALLE UNO SCATTO VAL BEN 550MILA LIRE

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Nel Giro del 1956 l’Italia impara a conoscere Miguel Poblet, sprinter spagnolo che quell’anno vincerà quattro tappe. I cronisti dell’epoca, celebrando la sua prima impresa rosa, non resistono alla tentazione di fargli i conti in tasca…

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Torniamo al Giro d’Italia del 1956, quello stravinto dal lussemburghese Charly Gaul con oltre tre minuti di vantaggio in classifica generale su Fiorenzo Magni e quasi sette su Agostino Coletto. A Milano cinque corridori italiani nei primi sei, ma i protagonisti veri, quelli che lasciarono un segno indelebile sul silicio della memoria, in quell’edizione – malgrado gli exploit iniziali di Alessandro Fantini – furono alla fine tutti stranieri.

Come lo spagnolo Miguel Poblet, celebrato sulle pagine de La Gazzetta dello Sport il 23 maggio 1956 dopo il trionfo nella quinta tappa del Giro, la Voghera-Mantova (per la cronaca, fu il primo dei quattro successi che l’iberico conquistò in quel Giro).

La Rosea rese omaggio alla sua “spettacolosa volata di 198 chilometri a quasi 42 di media!”, parlando in prima pagina, in un bellissimo corsivo del cronista Giuseppe Ambrosini, di “una gara d’eccezione”.

“Dopo una sferzata quasi brutale che il Penice, preceduto dalla Scoffera e dalla snervante altalena appenninica, aveva dato a tutti – compresi gli assi, anzi, a costoro soprattutto – c’era da essere poco ottimisti sulla vivacità di tono di questa Salice-Mantova; tanto più che il brutto tempo che s’era sfogato nella notte in roboanti bordate di tuoni annunciava una cupa minaccia di pioggia, per fortuna rimasta solo tale sin quasi alla fine. Si sapeva, inoltre, per vecchia esperienza, che fra la terza e la quarta tappa cade, di solito, il periodo più scabroso per l’organismo in via di adattamento alla ripetizione degli sforzi. Invece, previsioni e considerazioni tecniche, sono state smentite dalla bellissima realtà di una tappa di cui non sarebbe facile trovare l’eguale, in fatto di velocità e di incessante, generale combattività, in tutta la storia di tutte le tappe di pianura del Giro. Quella di oggi era, infatti, la tappa più piatta fra quelle già disputate, senza  neppure la parvenza di un dislivello. Una volta, su percorsi del genere, i nostri corridori non avrebbero trovato lo spunto per animare la corsa. Quale trasformazione di sistema e di temperamento si sia avuta in questi ultimi tempi lo si è visto oggi, nella gara che gli italiani hanno ingaggiato con gli stranieri per tener sempre accesa la fiamma della lotta a base di allunghi e di scatti con cui il gruppo era continuamente mitragliato, a tutto vantaggio della media, che è risultata particolarmente alta e, quel che più conta, dell’interesse della corsa, risultata un’ininterrotta punteggiatura di tentativi di disgregamento, una sequela di botte e risposte, di cui solo l’ultima ha avuto esito positivo”.

 

 

Miguel Poblet

 

E nel commento, sempre in prima pagina di Guido Giardini, si celebra “Il ritorno degli sprinters”.

“‘Mai fidarsi delle tappe all’apparenza insignificanti, per facilità di percorso’. Girardendo aveva così parlato al suo Poblet questa mattina a Salice. Poblet, lo sapete già, è il più pericoloso velocista del Giro d’Italia. Diciamo pure il corridore più veloce tra i 105 partiti da Milano sabato scorso. Ne aveva già dato prova vincendo due traguardi volanti nelle tappe precedenti. Ma i traguardi volanti sono soddisfazioni ‘effimere’, servono alla saccoccia, per quel che rendono, e un po’ anche all’ambizione personale; non lasciano però tracce importanti nella corsa. Bisogna vincere una tappa, diceva l’ex campionissimo, e tanto meglio se insieme ad un traguardo volante, per via della rendita cospicua delle trecentomilalire supplementari”.

Poi un profilo di Poblet, “ragazzo svelto, intelligente, pronto”, che – prosegue nel suo editoriale il cronista – “questa sera può dirsi ben soddisfatto sotto tutti gli aspetti: morale, in quanto ha vinto la sua prima tappa, ed economico, poiché la vittoria di Mantova, in soli premi (e senza quello che gli spetterà dalla direzione della squadra), gli ha fruttato ben 550mila lire fra il traguardo volante di Cremona (150), il premio di tappa (100) e il premio supplementare di 300mila lire che si assegna al vincitore di tappa che abbia anche all’attivo un traguardo volante nella stessa giornata”.

 

 

Infine, la Gazzetta punta il focus su Alessandro Fantini, il “monello d’Abruzzo”, vincitore – prima di questa frazione – di due delle prime quattro tappe del Giro. “Una grossa fatica difendere la maglia rosa”, si legge sempre in prima pagina in un titolo profetico. Fantini, infatti, dopo nove tappe in rosa, si arrenderà alla cronometro di Lucca, quando la maglia gli venne sfilata da Pasquale Fornara, che la conserverà per sette giornate, fino alla celebre tappa Merano-Monte Bondone, che consacrerà al mondo intero un piccolo grande grimpeur di nome Charly Gaul. Ma a raccontare la “vie en rose” di Fantini fu, quello stesso giorno sulla Rosea, il giornalista Emilio Violanti. “La gente lo indica col dito e lui ammicca furbescamente, con quell’aria scanzonata da eterno monello che tante simpatie gli accattiva. Di tanto in tanto, qualche corridore va a strofinare sul manubrio la punta del naso. Bagarrette. Ma Fantini, oggi, non concede libertà. A Soresina, anzi, va a conquistarsi persino il premio di traguardo: le rette buone da mettere in saccoccia. E allorché, con furore belluino, taluna azzarda ancora a prendere il largo, il Sandrino d’Abruzzo lo va ad agguantare con stizzosa caparbietà. I suoi occhietti vivaci si sono fatti quasi cattivi, di piombo. No pasaran. L’illusione di qualche istante di tregua, se di tregua si può parlare allorché le lancette, con la loro assoluta mancanza di fantasia, son sempre lì a gingillarsi attorno al 42 che dichiara la media. Sguardi nient’affatto carezzevoli a chi indossa la maglia rosa. Molti nemici molto onore, per dirla col buon’anima. Ma Alessndro Fantini, con un pizzico di guasconesca straffottenza, non se ne dà per inteso. L’ha sognato tanto questo gran giorno, se l’è coccolato nei momenti in cui la solitudine gli metteva nell’animo un indefinibile smarrimento… E’ in mezzo al gruppo, adesso: è, mentre un piccolo plotone di pensieri gioca a rimpiattino nel suo cervello, sente l’indice puntato su di lui, capta il ‘j’accuse’ di ci non gli perdona il vivacchiare passivo e fannullone nella scia degli altri. Undicesimo comandamento, dice l’accusa: non desiderare la ruota altrui”.

 

 

 

Fonte INBICI Magazine  Copyright © INBICI MAGAZINE

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