Ci risiamo: la querelle “freni a disco sì o no” nelle gare su strada potrebbe improvvisamente rianimarsi dopo quel che é accaduto nell’ultima Freccia del Brabante, in Belgio: a 38 chilometri dal traguardo una caduta di gruppo ha avuto conseguenze spiacevoli per diversi corridori in modo particolare per Mikkel Honoré (Deceuninck-Quick Step). A causare la profonda lacerazione sul braccio destro del danese è stato il contatto – durante il capitombolo – con il rotore (ovvero il “disco”) dell’impianto frenante di un altro corridore. Il taglio ha richiesto l’applicazione diversi punti di sutura.
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Qui sotto il video della caduta alla Freccia del Brabante
Non il primo incidente
Un incidente di questo tipo non è certo il primo nella storia recente del ciclismo: nel 2019, alla Paris-Roubaix Espoirs, l’Under 23 statunitense Matteo Jorgenson (oggi prof con la Movistar) riportò un profondo taglio alla gamba sempre a causa del contatto con un rotore durante una caduta. Spostandoci nel ciclocross, invece, va segnalato il taglio al braccio che per la stessa ragione si è procurata nel novembre 2020 a Tabor la Junior olandese Shirin van Anrooij.
In effetti la potenziale pericolosità del rotore in caso di caduta è stato a lungo uno degli argomenti sbandierati dai tanti detrattori del freno a disco nelle grandi corse ciclistiche su strada (se ne parlava dal 2013 ma l’UCI li ha autorizzati nelle corse su strada solo dal 1 gennaio 2018) o quanto meno il fattore “pericolo” è stato baluardo per i tanti che, soprattutto dall’interno del mondo del ciclismo professionistico, questo standard lo hanno visto con diffidenza, quasi osteggiato.
La nostra opinione
L’opinione a riguardo della nostra redazione tecnica? Siamo convinti che indietro non si possa tornare e che non sia certo pensabile – come qualcuno ancora paventa – fare dietrofront verso il freno tradizionale.
Asseriamo questo nonostante lo scorso anno uno dei dominatori della stagione agonistica – Vout van Aert – abbia stravinto ancora in sella a una delle poche bici rim-brake del plotone, esattamente come quella di Tadej Pogačar , che con una bici “rim-brake” ha fatto suo il Tour de France davanti ad un Primož Roglič anche lui con bici rim-brake; diciamo questo nonostante uno dei big team del “circus” World Tour – la Ineos Grenadiers – in questo 2021 ancora utilizzi biciclette con freno tradizionale; ancora, diciamo questo nonostante le bici con freno a pattino siano oggettivamente e nel complesso più leggere (almeno tre etti) rispetto a quelle “disc”; e infine diciamo questo nonostante i più moderni sistemi di freno a pattino abbiano oggi raggiunto standard di efficienza di gran lunga superiori agli omologhi impianti di quindici, venti anni fa.
I vantaggi ineguagliabili del freno a disco
Sei “macigni” come quelli appena menzionati potrebbero bastare a dissuadere i più testardi assertori del freno a disco sulle bici da strada; noi no, prima di tutto perché i corridori e i team che abbiamo sopra citato sono quasi tutti orientati alle grandi corse a tappe e in quanto tali possono comunque continuare a utilizzare le più leggere bici “rim”, che l’Uci regolarmente consente ai team (o corridori) che lo preferiscono. Per tutti gli altri, invece – e sono la stragrande maggioranza dei prof – il freno a disco offre tutta la sua indiscutibile maggiore efficienza, maggiore funzionalità, maggiore modulabilità, maggiore potenza, maggiore sensibilità, maggiore affidabilità in tutte le condizioni meteo nel confronto con il freno tradizionale. In una parola, volendo sintetizzare questa nutrita aggettivazione, possiamo dire che il freno a disco è più sicuro, soprattutto se si parla di ciclismo su strada praticato individualmente.
Della stessa idea è del resto il “nostro ” Gianluca Giardini, perfettamente allineato ai tantissimi cicloamatori che mai e poi mai tornerebbero indietro a una bici rim brake dopo esser passati ad usare una bici da corsa disc. Appunto, abbiamo appena parlato di amatori, ma i problemi possono potenzialmente – e come abbiamo visto concretamente – venire a galla quando si passa all’agonismo di vertice, quando si corre per ore e ore affiancati l’un l’altro, a velocità che sfiorano i sessanta all’ora. È evidente, in queste condizioni, che un elemento rotante come è il rotore di un freno a disco può diventare un ulteriore elemento di offesa in caso di caduta di gruppo, una sorta di lama; ancora peggiori, tra l’altro, potrebbero essere le conseguenze quando il rotore è surriscaldato (sapete che un “disco” può arrivare a una temperatura di 400 gradi al termine di una lunga discesa?….).
Un carter protettivo?
Argomenti del genere hanno portato più volte a discutere dell’introduzione di un carter di protezione da applicare sul rotore, un presidio a salvaguardia della pelle altrui. Questa potrebbe essere soluzione efficace, dei prototipi in giro già ne esistono, ma in realtà ad oggi hanno fatto storcere il naso ai corridori (e soprattutto ai meccanici), più che altro per le problematiche e lungaggini in più che andrebbe a determinare in caso di cambio ruota, ovvero un’operazione che sulle bici disc è già di per sé oggettivamente più lunga e complessa rispetto a quella necessaria su bici con freni tradizionali.
Il computo del incidenti evitati
In questo senso il freno a disco è in assoluto pericoloso, è vero, ma a fronte di pochi incidenti “da taglio” resi noti, pensiamo anche a quanti potenziali cadute questo sistema sarà riuscito ad evitare nel corso di questi quattro anni di “vita” nel ciclismo professionistico? Quanti scivoloni il freno disco avrà salvato in extremis proprio grazie alle prerogative tecniche di cui si è detto?
E poi diciamolo senza girarci troppo attorno: il ciclismo è sport di velocità, oggettivamente è più esposto al rischio incidenti rispetto ad altri, ma oggettivamente è anche meno pericoloso rispetto ad altre discipline. È una considerazione tutt’altro che scontata la nostra, perché in questo senso, oltre ai rotori dei freni a disco, si dovrebbe allora assegnare la stessa attenzione anche ai mille altri fattori tecnici di rischio che caratterizzano il ciclismo sempre più tecnologico, sempre più veloce e sempre più a “gruppo compatto” dei nostri giorni: che dire, ad esempio, delle ruote, dei manubri e soprattutto dei telai e delle forcelle in carbonio, ovvero quelli che in caso di cedimento strutturale (assai probabile visto che parliamo di materiali che rispetto ai metalli resistono meno a tensioni “non previste” come quelle di una caduta) diventano vere e proprie lame o fendenti? Che dire, ancora, dei tagli causati dalla corona? Tutto questo senza neanche “scomodare” tutti quegli incidenti potenzialmente causati da ruote sempre più scorrevoli ma allo stesso tempo sempre più difficili da “riprendere” in caso di errore di traiettoria, senza scomodare tutti i voli causati da telai sempre più aerodinamici ma allo stesso tempo sempre più impegnativi da governare quando c’è vento laterale.
Non esistono statistiche o numeri da riportare, ma non vi è dubbio che danni fisici causati da fattori tecnici come quelli appena elencati sono di gran lunga maggiori rispetto a quelli che potrebbero causare rotori che in caso di caduta diventano “lame”. E questo, lasciatecelo dire, anche al netto di eventuali raccomandazioni al silenzio che gli eventuali sponsor tecnici potrebbero intimare ai loro corridori in caso di danni causati dai freni a disco.
Sull’argomento “pericolo freni a disco sulle bici da corsa” riceviamo e pubblichiamo anche l’opinione dell’ex stradista e biker Danilo Gioia: «Tra freni tradizionali con ruote in carbonio e freni a disco sceglierei sempre i freni a disco, sono molto più sicuri sopratutto nelle discese. Tra l’altro oggi le bici sono tre, quattro chili più leggere dei miei tempi. Non avrei dubbi nella scelta sopratutto quando piove o si marcia su percorsi difficili tipo strade bianche o “classiche del nord”. Il pericolo di farsi male in una caduta di gruppo c’è eccome, c’è con le corone o anche con le leve freno oppure con la rottura di telai e forcelle in carbonio, che diventano delle vere lame. Credo che in percentuale ci siano cose più pericolose se andiamo a vedere bene tutte le cadute che avvengono. Sommando i danni riportati dai corridori, la percentuale degli incidenti dovuti ai freni a disco a mio parere è bassa. Il problema è che essendo una novità del mondo strada, ai freni a disco occorre molto più tempo per farla accettare. Nella mtb si usano da oltre venti anni in tutte le condizioni, idem nel ciclocross. Credo che questo sia un problema che fa molto più clamore rispetto ad altri, ad esempio transenne non regolari in certe gare all’estero oppure pericoli a bordo strada non segnalati, che sono frequente causa di incidenti come del resto testimonia il numero di fratture in una stagione. Comunque, tornando al freno a disco anteriore, se vogliono eliminare il pericolo ci sono già in circolazione dei copri dischi. Si potrebbero perfezionare per i professionisti, visto che non andrebbero neanche a incidere sul peso e sull’aerodinamica».
a cura di Maurizio Coccia ©Riproduzione Riservata-Copyright© InBici Magazine
Indietro non si vuole tornare. Shimano ha commercializzato i nuovi gruppi rim brake. Colnago, Pinarello, Cipollini producono telai rim brake. DT swiss ha rinnovato la nuova gamma rim brake. Giant ha fatto dietro front, per il 2022 è tornata a riprodurre telai rim. Una tecnologia nata nel 1974, imposta dal marketing come innovazione. E intanto i prof. Continuano a procurarsi tagli più o meno gravi. Una imposizione, come disse Cassani “i dischi ce li imporranno”.