Forse non lascerà un segno nel prossimo Giro d’Italia, ma c’è da scommetterci, il ciclista eritreo Awet Gebremedhin qualche copertina l’avrà di sicuro. Perché la sua storia – da profugo al grande ciclismo professionistico – merita di essere raccontata.
Nel 2013, dopo una gara in Italia, decide di non rientrare nel suo paese (dove non avrebbe avuto alcun futuro nello sport) e si trasferisce – da clandestino – in Svezia, dove si nasconde in casa di amici per timore dell’arresto e del rimpatrio.
Nel novembre del 2015 ottiene lo status di rifugiato e con esso, finalmente, la possibilità di muoversi liberamente per cercare di guadagnare il necessario per acquistare una bici con cui allenarsi. L’anno dopo la chiamata del team amatoriale Marco Polo e nel 2017 il contratto con la Kuwait-Cartucho.es, la squadra continental di Davide Rebellin, con la quale ottiene una lunga serie di piazzamenti.
Tuttavia la mancata conferma nel team Continental lo rigetta nello sconforto. Fino a quando la fortuna non gli dà una mano: il ciclista turco Ahment Orken, in forza all’Israel Cycling Team, abbandona la squadra, mettendo a disposizione di Awet lo slot tanto agognato e con esso la possibilità di essere al via del prossimo Giro d’Italia.